mercoledì 26 settembre 2012

IN BIBLIOTECA CI ANDAVO PER GUARDARE MEGLIO LA GENTE

Una coppietta di tredicenni in Sala Borsa.
Lei ha gli occhi lucidi e lo guarda, adorante. Ha avuto i suoi fiori, rose rosse e nebbiolina. Se li stringe addosso: è davvero felice.
Lui, poco più in là, si aggira tra gli scaffali di “Studi sociali - Devianza”.
Nemmeno lei riesce a fare a meno delle uova.

lunedì 24 settembre 2012

Io mi porto sempre Kundera appresso

Quando lascerò questa stanza, lei tornerà muta.
La parola più usata in questi casi è "spoglia". 
Non sarà più la mia stanza.
Prima del mio arrivo c'era un'altra persona che dormiva in questo letto, c'erano i suoi vestiti nell'armadio.
Poi le mie cose l'hanno travestita. Anche l'odore e il profumo sono diversi: ora sento il mio, quello del trucco che uso, del deodorante che uso, del prodotto per capelli che uso.
Ora che l'ho spogliata non ha più niente da dirmi che mi riguardi. Non prova mica rancore per questo. 
Impassibile e franca: "Cecilia, cortesemente, quando te ne vai puoi chiudere la porta?".
Essere una stanza è brutto: ognuno pensa che sarai sua per sempre e ci mette dentro la sua roba.
Poi deve partire e la stanza sa che qualcun altro farà lo stesso. Poi partirà di nuovo pure quella persona, e di nuovo un'altra ne verrà. E così a lungo.
E' una puttana, la stanza in affitto.
Ecco perché i traslochi sono sempre un po' squallidi: si fa finta di niente mentre si imbustano le scarpe e si staccano i poster. Ci si riveste, si lasciano i soldi sul letto e si esce. Solo avere l'equilibrio psichico di Amelie Poulain spingerebbe la gente a piangere mentre si svuota una stanza.     
Cambiare stanza non implica rinunciare a qualcosa. Sei tu che ti sposti, selezionando le cose necessarie e che vuoi avere sempre vicino. Io per dire, mi porto sempre Kundera appresso.
Non sposti delle cose, ma categorie, gerarchie, giudizi, cose preziose che gli altri difficilmente - solo se ti feriscono - cambiano. Ti abituerai presto all'angolo del tuo nuovo comodino, ad avere la parete a sinistra invece che a destra.

La casa dei genitori, invece.
Quella della tua infanzia, dove ancora c'è il Tuo letto.
La Tua camera.
Quella dove sei cresciuto, dove ti sei fatto i primi problemi su tutto e su tutti, e vivere era giocare a farlo, o solo pensarci parecchio.
Protetto, eri "a casa" dove i muri conservano ordinatamente le alzate di voce e le riconciliazioni, come i veli di una pastasfoglia. Entrarci di nuovo è riconciliarsi con una compagna tradita da una vita. Che si tornerà a tradire, prima o poi. Perché sentirsi attaccati a qualcosa fa paura e ogni tanto giocare a rifiutarla, allontanarla, farle uno sgarbo non è mai abbandonarla del tutto, è come accettare che non si può fare a meno di lei. 







mercoledì 19 settembre 2012

STRATEGIE

E' la distinzione il nemico.
La gerarchia.
Questo vino è più dolce del primo che abbiamo preso.
Il film di stasera è stato più noioso di quello che ho visto martedì. 
Le mi scarpe sono più usate delle sue.
Lei ha le tette più piccole!
Lui era più basso di me...
Zia Teresa è più apprensiva di mia madre.
Oggi il cielo è più limpido.
La distinzione, la differenza, il confronto. Individuarli costa la ricerca di parametri, di analisi, di osservazioni. Di tempo. E' la distinzione, il nemico.
Se tutto fosse uguale a tutto il resto, tutto questo non servirebbe. Forse certe droghe hanno particolarmente successo per questo motivo: la confusione aiuta, essere annebbiati non ci permette di fare distinzioni, di stabilire priorità. La confusione non ti concede né di apprezzare qualcuno, né di escludere niente.
L'alzheimer oggi è un business.
Però, se ogni cosa è uguale alle altre, noi quella cosa ce la dimentichiamo. Dimentichiamo tutto e conserviamo pure le cartine dei cioccolatini e le bustine di zucchero. I francobolli.
Chissà cosa starà cercando quello che sta dietro a una collezione di francobolli. Ognuno di quei pezzi è il brandello di una vita che si è perso. E gli amici diventano la nostra memoria: per questo ci raccontiamo sempre gli aneddoti di cose fatte insieme. Ogni volta c'è qualche particolare che ci siamo dimenticati. Tutte le volte. Nessuno si lamenta di questo rituale narrativo e se qualcuno lo fa, finge perché sa che verrà zittito presto. Perché dimenticare è innescare nuove strategie per ricordarci qualunque altra cosa.
Sennò vi siete mai chiesti perché ci ricordiamo solo le fossette ai lati di certe bocche invece dei visi interi?
O il profilo delle dita delle mani, non le mani. O anche il modo in cui una persona ciondola la testa mentre cammina sovrappensiero, non la sua figura intera. Selezioniamo informazioni particolari e piccole perché ricordare tutto il resto sarebbe dispendioso. Facciamo economia, siamo schede di memoria al verde.

domenica 2 settembre 2012

"Insalata Trocadero"

Al balcone c'è un galateo cittadino che prevede una grande e sola regola, che nessuno ha stabilito in una riunione di condominio: ci si ignora con educazione.
Mentre fumo e faccio due passi, penso alle cicche delle sigarette che mio fratello ha lasciato nei gerani di mia madre: vuol dire che ci fuma spesso sul balcone, gli piace. Potrebbe rimanere a fumare dentro, e invece esce. Piace anche a me. Credo sia la nuova frontiera del relax, e tutti gli altri che hanno un balcone, anche minuscolo, lo sanno.  
Mentre faccio gli ultimi tiri arriva un signore sulla sessantina che a torso nudo pulisce le scarpe. Ci infila le mani e le sbatte l'una contro l'altra. Mi ha visto e io ho visto lui. Nessuno dei due saluta l'altro. Magari mi conosce da una vita, mi vede da quando ero piccola. Scommetto che i miei sanno come si chiama e che lavoro fa. 
Ha la pelle caramellata, è uno di quei tipi abbronzati tutto l'anno, un po' per carnagione forse, un po' perché forse lavora all'aperto. Fatto sta che vederlo così, oggi, domenica due settembre, fa tanto "domenica due settembre", e cioè:

/sono stato al mare ad agosto/, 
/ho dormito con la finestra aperta stanotte e ho avuto freddo!/, 
/fra poco piove/, 
/si sente che l'aria è cambiata/,
/lunedì torno a lavorare/
/stasera mi porto il golfino/. 

Arriva la vecchia del piano superiore.
Noto che con la tempistica si sono sincronizzati un casino: mentre lui rientra, lei apre la finestra e esce. 
Senza che loro lo sappiano li ringrazio per questo impeccabile cambio di scena. 

La signora è anziana e curva, ma ha la velocità dei movimenti di una che è stata tosta nella vita. 
Credo che non veda l'orizzonte da alcuni anni. Io vorrei morire subito se sapessi di non poter più vedere davanti a me, che ci sia il sole o lo stronzo che mi supera mentre siamo in fila allo sportello. 
Lei si vede solo i piedi e il pavimento. Conoscerà tutti i pavimenti di questa città, di tutti gli uffici e gli ambulatori medici, e dei supermercati e dei bagni dei bar.
Con uno straccetto umido raccoglie a mano le foglie secche e poi lo sventola fuori. Siamo in centro e lei che fa? sparge lo zozzo di casa sua in strada. Ma certo è domenica. E questa via ora è un cortile interno, io vi spio mentre fate cose vostre. Nessun altro ci vede, cioè tutti ci vedono, io vedo voi, voi vedete me, ma decidiamo di comune e muto accordo che non ci vediamo.
Come quando ti lavi le mani in un bagno pubblico: che tu sia in un locale o alla stazione, se ti guardi allo specchio mentre ti insaponi le mani e per sbaglio incroci lo sguardo di quella dietro di te, tu non la vedi.
Mica la saluti. Ma chi sei? I am a passenger, inutile stare a parlare. 
La signora alza lo sguardo - non dice nulla, anche lei rispetta il galateo del balcone - mi vede. 
Mi giudica, palesemente. Sono una, in maglietta, a fumare sul balcone. E fisso la gente. E' evidente che non porto calzoncini o pantaloni. E' fatta. Le parte in testa il disco della sua gioventù:

"all'epoca mia mica si stava così in pubblico,
ma guardale ste regazzette de oggi eccetera eccetera
il babbo mio eccetera me le dava che non uscivo di casa per una settimana
taratà taratà".

Ecco, è finito il pezzo, continua a pulire. 
La guardo in faccia e riusciamo a guardarci solo perché io sono al secondo piano e lei al quarto. Dio com'è curva. Soffrirà? le mancheranno le cose che riusciva a vedere prima, o ci ha fatto l'abitudine? io vorrei qualcuno vicino che riesca a descrivermi cosa mi sto perdendo. O forse non lo sopporterei. Sì, a quel punto meglio morire.
(Mi fa piacere quando mi confermo discorsi precedenti, lo apprezzo come apprezzo che mi allaccio le scarpe sempre nel modo più comodo per me. Sìsì, ottimo lavoro).
 
La signora ha un vestito di lino albicocca. Fa finta di niente, si rigira, rientra e sistema le tende del suo salotto. Sembra che lo faccia credendoci. Le stropiccia un po' con le mani, ce le passa sopra, forse pensa di togliere la polvere o di stenderle meglio.  

Domani la incontrerò al reparto frutta del superconti di via ferraris, mentre saremo in fila per pesare l'insalata "riccetta" o la "trocadero", che è un nome stupendo per un tipo di insalata, non so come la pensiate voi, ma è proprio figo. Insomma, le dirò che non si butta la robaccia di casa propria dal balcone, ma che il suo vestitino mi è piaciuto un sacco e che sì, dobbiamo continuare a ignorarci perché in silenzio mi sa che ci capiamo meglio.