domenica 28 ottobre 2012

La domenica

Amare la domenica
Amare di domenica
Amara la domenica...
Amore, la domenica!
Ammiro la domenica
A mare la domenica
A morte la domenica
A more la domenica
Ammira: la domenica!
Amare, la domenica, ...

Affanculo la domenica


Come siamo messi?

Metti che tu esci
metti che è già buio
metti che ti vedo
metti che mi dici
“metti che ti bacio”
metti che ti mangio
metti che mi sbaglio (era uno sbadiglio?)
metti che ti dico
“metti che è domenica”
metti che è oggi.
Tu come sei messo?

domenica 21 ottobre 2012

Che sono stata in Via Paolo Sarpi e che sono percettiva

Ho visto una stanza in Via Paolo Sarpi oggi.
Dentro chinatown a Milano, c'è un cortile ampio e ombroso e una Madonna.
Da qui si vede il retro di tutti i magazzini dei negozi degli orientali e loro che ci trafficano dentro.
Buste, capelli neri sottili e lisci che svolazzano indaffarati.
I cinesi sono come i loro capelli.
Io sono invisibile, li distraggo come una mosca, stancandoli in fretta dal prestarmi attenzione (e mi piace che non gli importi di me).
I loro carretti e le loro voci indecifrabili mi ricordano "L'amante".
Dove sono finita? si chiese Alice.

Salgo le scale del palazzo. Fuori ogni porta un porta-scarpe e scarpe usate lasciate lì fuori.
Appena la raggiungo, mi fissa negli occhi, sorride e ha un rossetto rosa/violaceo perlato.
I capelli lisci e candidi raccolti in cima alla testa, lo sguardo vispo.
Che ora è sui miei piedi.

"Ho appena dato lo straccio, ti spiace toglierti le scarpe?".
"Ah, ok."
"Mettiti quelle pattine, sono pulite".
La padrona ha 55 anni, vive anche lei nell'appartamento - bellissimo - e si occupa di radiostesia.
"Sono contro i medici. Ma te sei medico? Sai che in greco medicina significa veleno? Ci avvelenano!".
Mi dice che le piacciono le persone colorate; che lei non capisce "voi meridionali" che per studiare "viaggiate tanto".

"Cara ma da voi non c'è l'università?"
Ahahahah!
"Sì, certo che c'è, è che volevo andare fuori...".
"Ah capito.." - però la mia risposta non la soddisfa.
Rimaniamo in cucina a parlare.
Una dozzina di coltelli appesi al muro sopra il lavello. Continua a chiamarmi meridionale.
"Signora veramente sono del centro...Terni, Umbria...sto a un'ora da Roma".
"Ma sai che infatti io, parlando l'italiano, il romanesco non lo capisco per niente...come il napoletano!".

La signora mi dice anche che per quanto riguarda il quartiere, la notte, devo stare tranquilla.
I cinesi lavorano sempre, da morire e non rompono le balle ("i marocchini invece").
Che ha cacciato suo figlio di casa (quando aveva 32 anni) perché "mi aveva rotto i coglioni. E poi deve trovare la sua libertà".
Lei invece non rompe i coglioni, "perché infatti suo figlio sta a Cambridge".
Che lei è una persona solare, sempre allegra.
Che lei è sempre stata libera, infatti non si è mai sposata.
Che sono ancora troppo giovane per capire cosa mi piace davvero.
Che la svolta per noi donne arriva a 35 anni (infatti lei è rimasta incinta a quell'età e ha deciso di tenere il figlio; si è messa in proprio ed è andata in India). 
Che io - essendo del Cancro - sono molto percettiva ma che ho un difetto di decisionalità.
"Proprio come fa il granchio sulla spiaggia: fai un passo avanti e tre indietro e poi giù, sotto la sabbia a nasconderti! è vero, no?".
"Sì. Posso vedere il bagno?".
"Certo, vieni. Lì c'è la vasca. La doccia si fa lì dentro".
"Certo" - è inutile, voglio provocarla: "però io so che questo non è il mio vero segno zodiacale, cioè dovremmo fare un calcolo diverso, no?".
Le si illuminano gli occhi e si schiarisce la voce: ho aperto il vaso di Pandora (ora: non so come vi immaginate il vaso di Pandora, ma questo ha un golfino a fiori e l'accento milanese).
"Devi cercare il calendario tibetano. Quello nostro è il gregoriano, lo hanno fatto i preti" - fa un cenno col capo con cui sottintende che io sia d'accordo con lei nell'odio per il clero - "invece quello tibetano ha 13 mesi, il mese che noi non abbiamo è quello dei Delfini che insieme ai Pesci sono il segno più importante di tutto l'oroscopo, segni d'acqua, che significano Passaggio. Infatti da uomo diventano donna, da donna uomo, sono gay trans, eccetera...capito?".
Capito.
"Bene, la ringrazio signora, mi farò sentire in settimana. Arrivederla", ora torno sotto la sabbia, per la precisione in metro. Ma è stato bello conoscerla.
Posso tornare per un sakè?

mercoledì 17 ottobre 2012

Tendenze di un certo genere

La metafora dello stato in cui sta l'Italia - non solo in merito alle tecnologie e all'informatica, o in merito al rapporto tra donne italiane e le tecnologie e l'informatica - è lo Smau.

In mezzo alla fiumana di giacche e cravatte, le sole donne che ho visto oggi erano tutte hostess: tutte ferme, tutte immobili, tutte in nero. Attorno a loro, tutti maschi, tutti di corsa, tutti che andavano da qualche parte. Dei salmoni che risalivano la corrente.
Impacciate o stufe (o entrambe), le bimbe belle avevano un sorriso alle 9 che alle 12 era diventato un ghigno da spasmo muscolare. Ma erano ancora con le mani piene di carta: dispenser.
Agli angoli delle scale, lanciate a dare informazioni già scritte su mappe dettagliate e stampate per lo scopo, da gente pagata apposta.
Dispenser, mostrano ai salmoni la strada, senza poterli accompagnare.


sabato 6 ottobre 2012

Colloqui del quarto tipo

Il potere si misura con l'attesa che si impone agli altri. A quanto pare, per alcuni è così.
Ragionano esattamente in questo modo: più ti fanno aspettare, più ti mostrano che per loro il tuo tempo non conta. Il loro sì, molto. Ergo: loro hanno potere, tu no.
Gerarchia stabilita, ruoli definiti.
L'ho sperimentato in un colloquio, dove per avere udienza, ho atteso tre ore.
Alla fine ero esausta (avevo preso un treno per venire lì), irritata, scontrosa, di base controllata ma pronta ad esplodere. Ah, tra l'altro il colloquio era per un master: per il master si paga l'ammissione, sostanzialmente.
La necessità di tutta questa selezione costruita, e il tempo richiesto ai candidati, se da un lato vorrebbero dare l'impressione di "vabbène che si paga per entrare ma non vogliamo proprio cani e porci", alla fine è passata per "tiriamocela più di quello che valiamo". E infatti è stato così.
Alla fine, quando l'addetto alla selezione è arrivato in sala d'attesa per stringermi la mano personalmente (forse si stava congratulando per la mia capacità di sopportazione) chiedendo scusa con l'espressione sconvolta sul viso e abbassando il volto, per poi dirmi di attendere altri dieci minuti, l'unica cosa che avrebbe meritato era un vaffanculo.
Franco e stanco.
Un vaffanculo franco e stanco è un amico. Arriva nel momento del bisogno, dritto al punto, ma senza stizza né rancore e ti dice una verità nuda e inevitabile, come l'aglio della bruschetta che si rinfaccia il giorno dopo che l'hai mangiata.
Quanto torna, il tizio mi accompagna personalmente nel suo ufficio e intanto si scusa, senza che io avessi detto "merlino!", per il fatto che gli uffici restanti erano vuoti e non c'era più nessuno.
"Guardi che se ora non c'è nessuno...ora lei vede che ci sono solo io, ma è perché gli altri lavorano da altre parti. Qui lavoriamo tutti! Sa, sono liberi professionisti e se non stanno qui non stanno mica a casa, ma a lavorare altrove!".
D'accordo. Premuroso. Ma chi t'ha detto niente?
Mi è venuta in mente la mia professoressa di latino e greco del ginnasio, che aveva un nome elegante, Danusia, nonostante lei fosse terribile come Attila, severa e pungente quando sbagliavi: non scappavi da nessuna parte.
insomma lei, mentre un alunno mugugnava scuse e giustificazioni dopo aver fatto il primo errore alla lavagna, diceva sempre questa frase in latino: "excusatio non petita, culpa manifesta".
Lapidaria. Cazzo se coglieva nel segno.
Quindi: chi t'ha chiesto niente? Coda di paglia. Qui non ci lavora più nessuno. Bene.
Questo è un coglione. Non me ne sono andata subito, solo perché ormai la mia giornata era andata persa, lì per lì ho pensato.
"Guardi, siamo nella stessa condizione...Io sono stanco, sono le cinque anche per me, mi comprenda!".
"Sì sì, faccia pure...". Stanca.
Ma il mio tempo, le mie tre ore, non me le paga nessuno, le sue sì.
In quelle tre ore in cui avrei potuto farne altri tre di colloqui, ho passato il tempo a riempire - per soli 30 minuti - un questionario; ad imprimere a un divano di finta pelle, la forma accurata delle mie natiche (senza alcuna soddisfazione del risultato); a guardare dalla finestra le foglie scosse dal vento, secche e croccanti sotto l'ultimo sole d'autunno caldo... ah, potrei essere là fuori, a correre o a passeggiare contando le cicche per terra...blabla (un viaggetto mentale senza bisogno dei biscottini di Proust) ; in quelle tre ore ho conosciuto altri due sfigati - nel senso buono - come me che erano lì per un colloquio. Un ragazzo e una ragazza. Tesi, socievoli come tra i condannati che aspettano il proprio turno; nervosi e stupidi un po'. In questo caso la selezione era per metà assicurata e però la sindrome è quella sempre.
Siamo o no noi, la risorsa? perché c'è la sindrome da /oddio non valgo un cazzo!/
Laurea triennale, laurea magistrale, in corso e a pieni voti, lode, master, esperienze all'estero, due lingue, un nobel, 788 di QI, il terzo occhio della mente attivo come un riccio a primavera...però no, non vali niente. Non ho esperienze!! O mio dio!!! Non ho esperienze!! C'mon! tutti in filaaaaa!! Corriamo a deprimerci!! DAI!!

(Ok la lettura di questo post e del colloquio che mi è capitato è deprimente. Ma il punto è che non siamo un lavoro. Siamo persone che vorrebbero fare un lavoro. Se smettessimo di identificarci con un ruolo professionale e iniziassimo a considerarci persone, sapremmo guardare con più distacco a questa situazione - che rimane critica - ma abbiamo ancora noi stessi, i nostri interessi, le passioni, un cuore, una testa che pensa e crea continuamente, qualche buon amico e qualcuno di speciale a cui pensare.)

Ultimamente mi sento una forma di energia che continua a funzionare solo da sola, come un sistema chiuso.
E il circolo esiste solo perché è il mio carattere o un pungolo esterno a farmi ripartire.
Io mi attivo e poi mi disattivo quando incontro persone come quella del colloquio.
In treno al ritorno, ero triste. Poi ci ho riso su. Lo imiterò a cena con gli amici; loro rideranno, io ci riderò.
La sera prima di dormire penso che sia una cosa triste e che probabilmente, mi ricapiterà, ma questo non deve avere a che fare con me. Sono loro il problema. Anche se loro poi, sono quelli che dovrebbero assumerti. Fortunatamente ho incontrato anche persone serie, va detto. Persone puntuali, che si sono scusate davvero per il loro ritardo, se c'è stato. Non so se la parola giusta per queste persone sia "umili" o "normali", io li chiamerei "bella gente".

Insomma la faccenda dell'attesa è una cagata pazzesca.
I militari quando vanno a fare un colloquio vengono sottoposti a questo trattamento: chi rimane fino all'ultimo,  aspettando tutto quel ritardo rispetto all'ora concordata, è più disposto a ricevere degli ordini. Farà meno di testa propria, rimarrà sul posto ad attendere istruzioni, cederà meno degli altri alle lusinghe di quella roba figa e antipatica che è il libero arbitrio.
Cosa dovrei aver capito io, dal fatto che ho aspettato tutto quel tempo?
Sono arrivata in sede alle 15,20: sono uscita alle 18,33. Ho perso due treni. Questionario di 30 minuti, colloquio di altri 30 minuti. Dovrei capire che non conto poi molto? che il mio tempo non ha valore e non è valorizzabile?
E il colloquio infatti è stato una fuffa. Segno evidente che se si tiene troppo a stabilire una gerarchia, non si nota tutto il resto, anche la cosa più importante: io ero lì per un corso che mi desse certe nozioni e che mi insegnasse qualcosa, loro hanno ancora bisogno di gente che li paghi.
In merito al colloquio. Beh. La stagione di prosa era appena iniziata e non me ne ero ancora resa conto.
Ero a teatro e lo spettacolo si era fatto attendere ma l'attore valeva l'attesa, col senno di poi.
"Questo master guardi, neanche dovrei dire nulla! Brilla di luce propria!".
Oddio. Alberto Sordi che fa il ganzo in Un americano a Roma non era così molesto.
"Se le faccio vedere la lista dei collaboratori, le faccio brillare gli occhi. ...Le faccio brillare gli occhi??"
Sì, mi faccia brillare gli occhi. Come brillano gli ordigni nucleari. Mi faccia esplodere, così le imbratto la scrivania.
"Addirittura? sì grazie..."
Mi passa il foglio.
La sacra sindone.
La apro.
Scorro la lista, volutamente senza sorpresa. ormai ho accumulato la carogna per l'attesa.
Non se ne va. Sono fatta così. Male, sicuramente, però devo dire che la mia bile ha un che di coerente e la coerenza oggi è roba d'altri tempi, vintage diciamo. Con questa brutta gente riporterò in auge lo scazzo perpetuo e costante. Mi rifiuterò, li rifiuterò.
"La donna è mobile qual piuma al vento"? Sì. Ve lo augurerete.

Comunque, chiudo i fogli, li poggio sul tavolo e glieli restituisco.
Sogghigna agitandosi senza motivo: "giusto per darle un'idea del..." (sfuma in sottofondo).

***
PICCOLA PARENTESI sullo SFUMARE IN SOTTOFONDO LE PAROLE.
lo sfumare in sottofondo è un'altra strategia dei selettori al colloquio: ti costringono a non fare il minimo rumore perché altrimenti non riesci a intuire come finisce la frase. Ti costringono a seguirli e a riempire i buchi delle loro frasi intuendo la parola giusta.

[DIALOGO NELLA MIA TESTA CON UMBERTO ECO:
U. - caRa cecilia ma è così che funziona la comunicazione!!!
C.- Eh no! "cooperazione testuale" un cazzo, caro Umberto. Questi sono degli ermetici balordi, punto!!
U. - Non voglio che si paRli in questo modo!! non me ne fRega niente se siamo nel tuo inconscio!
(scazzottata)].

La sfumatura verbale è lo strumento usato nei gruppi più spietati dei servizi segreti russi; è stata usata inoltre durante la scuola per passare la versione di latino e greco; infine, credo risulti una strategia telefonica erotica per mantenere viva l'attenzione dell'interlocutore e stimolarne la ricettività (ma su questo devo consultare la bibliografia in merito, magari al prossimo post).
A me è successo questo:
"Vede possiamo fare...[bzzzz ssshhh  BUIO ssshhh] il 20, ma il 26 settembre no, dopo di che, se lei non, e io nemmeno, allora... [bzzZz ssshhh BUIO ssshhh] siamo d'accordo?" (Sorriso finale  - fissandoti e cercando un feedback positivo).
Io: "Sì sì, certo siamo d'accordo, ho capito perfettamente". (altri sorrisi di conferma e annuisco come un cortigiano del Sol Levante).
Anche chi fa così, obiettivamente è una brutta persona, e le auguro i lavori forzati o almeno una modesta attività di mondina. Sibilare al riso forse sarà utile per scacciare i topi mentre lo raccogli con l'acqua ai piedi.
***
Tornando all'Albertone nazionale.
Ultimo atto.
Risata a sbuffo per inaugurare la frase, odiosissima: "lavoriamo solo con i migliori!"
E i più cari, aggiungerei.
"Come lei ben saprà...".
No. Questo no.
La formula che dà l'allarme in qualsiasi contesto.
Ora scappo.
Sono al primo piano: rapido calcolo.
Se mi butto dalla finestra cado in piedi, non dovrei farmi male. C'è il bus per la stazione qua davanti, è un attimo.
"Sì ma io l'ho capita, guardi".
Rabbrividisco.
Mi ha smascherata. E' fatta.
Chiederò scusa, dirò che c'ho ripensato e che devo andare via. Non è mica una tragedia. Al limite simulo un malore, senti...
"Sa io leggo tutti i movimenti del corpo, la prossemica, di lei ho già capito tante cose che lei pensa di non lasciar vedere".
Cristo!
tipo? Lo leggi "Fottiti" qui? lo leggi? Effe, ò, doppia t...

"Lei è una determinata, è posata e cortese, ma quando vuole lei va dritta al centro".
Lo fisso.
Mi fissa: "Ha trovato il centro?"
Sì. ma tranquillo: sentirai solo una fitta alla fronte.
"Mh..no no." Socchiudo gli occhi. Risatina.
"Lei non a caso è seduta qui. Lo sa che dove le faccio sedere le persone antipatiche?? Sulla sedia accanto a lei!! lei mi sta proprio simpatica, andremmo d'accordo, lo so!".

Ah. Allora è solo scemo.




mercoledì 26 settembre 2012

IN BIBLIOTECA CI ANDAVO PER GUARDARE MEGLIO LA GENTE

Una coppietta di tredicenni in Sala Borsa.
Lei ha gli occhi lucidi e lo guarda, adorante. Ha avuto i suoi fiori, rose rosse e nebbiolina. Se li stringe addosso: è davvero felice.
Lui, poco più in là, si aggira tra gli scaffali di “Studi sociali - Devianza”.
Nemmeno lei riesce a fare a meno delle uova.

lunedì 24 settembre 2012

Io mi porto sempre Kundera appresso

Quando lascerò questa stanza, lei tornerà muta.
La parola più usata in questi casi è "spoglia". 
Non sarà più la mia stanza.
Prima del mio arrivo c'era un'altra persona che dormiva in questo letto, c'erano i suoi vestiti nell'armadio.
Poi le mie cose l'hanno travestita. Anche l'odore e il profumo sono diversi: ora sento il mio, quello del trucco che uso, del deodorante che uso, del prodotto per capelli che uso.
Ora che l'ho spogliata non ha più niente da dirmi che mi riguardi. Non prova mica rancore per questo. 
Impassibile e franca: "Cecilia, cortesemente, quando te ne vai puoi chiudere la porta?".
Essere una stanza è brutto: ognuno pensa che sarai sua per sempre e ci mette dentro la sua roba.
Poi deve partire e la stanza sa che qualcun altro farà lo stesso. Poi partirà di nuovo pure quella persona, e di nuovo un'altra ne verrà. E così a lungo.
E' una puttana, la stanza in affitto.
Ecco perché i traslochi sono sempre un po' squallidi: si fa finta di niente mentre si imbustano le scarpe e si staccano i poster. Ci si riveste, si lasciano i soldi sul letto e si esce. Solo avere l'equilibrio psichico di Amelie Poulain spingerebbe la gente a piangere mentre si svuota una stanza.     
Cambiare stanza non implica rinunciare a qualcosa. Sei tu che ti sposti, selezionando le cose necessarie e che vuoi avere sempre vicino. Io per dire, mi porto sempre Kundera appresso.
Non sposti delle cose, ma categorie, gerarchie, giudizi, cose preziose che gli altri difficilmente - solo se ti feriscono - cambiano. Ti abituerai presto all'angolo del tuo nuovo comodino, ad avere la parete a sinistra invece che a destra.

La casa dei genitori, invece.
Quella della tua infanzia, dove ancora c'è il Tuo letto.
La Tua camera.
Quella dove sei cresciuto, dove ti sei fatto i primi problemi su tutto e su tutti, e vivere era giocare a farlo, o solo pensarci parecchio.
Protetto, eri "a casa" dove i muri conservano ordinatamente le alzate di voce e le riconciliazioni, come i veli di una pastasfoglia. Entrarci di nuovo è riconciliarsi con una compagna tradita da una vita. Che si tornerà a tradire, prima o poi. Perché sentirsi attaccati a qualcosa fa paura e ogni tanto giocare a rifiutarla, allontanarla, farle uno sgarbo non è mai abbandonarla del tutto, è come accettare che non si può fare a meno di lei. 







mercoledì 19 settembre 2012

STRATEGIE

E' la distinzione il nemico.
La gerarchia.
Questo vino è più dolce del primo che abbiamo preso.
Il film di stasera è stato più noioso di quello che ho visto martedì. 
Le mi scarpe sono più usate delle sue.
Lei ha le tette più piccole!
Lui era più basso di me...
Zia Teresa è più apprensiva di mia madre.
Oggi il cielo è più limpido.
La distinzione, la differenza, il confronto. Individuarli costa la ricerca di parametri, di analisi, di osservazioni. Di tempo. E' la distinzione, il nemico.
Se tutto fosse uguale a tutto il resto, tutto questo non servirebbe. Forse certe droghe hanno particolarmente successo per questo motivo: la confusione aiuta, essere annebbiati non ci permette di fare distinzioni, di stabilire priorità. La confusione non ti concede né di apprezzare qualcuno, né di escludere niente.
L'alzheimer oggi è un business.
Però, se ogni cosa è uguale alle altre, noi quella cosa ce la dimentichiamo. Dimentichiamo tutto e conserviamo pure le cartine dei cioccolatini e le bustine di zucchero. I francobolli.
Chissà cosa starà cercando quello che sta dietro a una collezione di francobolli. Ognuno di quei pezzi è il brandello di una vita che si è perso. E gli amici diventano la nostra memoria: per questo ci raccontiamo sempre gli aneddoti di cose fatte insieme. Ogni volta c'è qualche particolare che ci siamo dimenticati. Tutte le volte. Nessuno si lamenta di questo rituale narrativo e se qualcuno lo fa, finge perché sa che verrà zittito presto. Perché dimenticare è innescare nuove strategie per ricordarci qualunque altra cosa.
Sennò vi siete mai chiesti perché ci ricordiamo solo le fossette ai lati di certe bocche invece dei visi interi?
O il profilo delle dita delle mani, non le mani. O anche il modo in cui una persona ciondola la testa mentre cammina sovrappensiero, non la sua figura intera. Selezioniamo informazioni particolari e piccole perché ricordare tutto il resto sarebbe dispendioso. Facciamo economia, siamo schede di memoria al verde.

domenica 2 settembre 2012

"Insalata Trocadero"

Al balcone c'è un galateo cittadino che prevede una grande e sola regola, che nessuno ha stabilito in una riunione di condominio: ci si ignora con educazione.
Mentre fumo e faccio due passi, penso alle cicche delle sigarette che mio fratello ha lasciato nei gerani di mia madre: vuol dire che ci fuma spesso sul balcone, gli piace. Potrebbe rimanere a fumare dentro, e invece esce. Piace anche a me. Credo sia la nuova frontiera del relax, e tutti gli altri che hanno un balcone, anche minuscolo, lo sanno.  
Mentre faccio gli ultimi tiri arriva un signore sulla sessantina che a torso nudo pulisce le scarpe. Ci infila le mani e le sbatte l'una contro l'altra. Mi ha visto e io ho visto lui. Nessuno dei due saluta l'altro. Magari mi conosce da una vita, mi vede da quando ero piccola. Scommetto che i miei sanno come si chiama e che lavoro fa. 
Ha la pelle caramellata, è uno di quei tipi abbronzati tutto l'anno, un po' per carnagione forse, un po' perché forse lavora all'aperto. Fatto sta che vederlo così, oggi, domenica due settembre, fa tanto "domenica due settembre", e cioè:

/sono stato al mare ad agosto/, 
/ho dormito con la finestra aperta stanotte e ho avuto freddo!/, 
/fra poco piove/, 
/si sente che l'aria è cambiata/,
/lunedì torno a lavorare/
/stasera mi porto il golfino/. 

Arriva la vecchia del piano superiore.
Noto che con la tempistica si sono sincronizzati un casino: mentre lui rientra, lei apre la finestra e esce. 
Senza che loro lo sappiano li ringrazio per questo impeccabile cambio di scena. 

La signora è anziana e curva, ma ha la velocità dei movimenti di una che è stata tosta nella vita. 
Credo che non veda l'orizzonte da alcuni anni. Io vorrei morire subito se sapessi di non poter più vedere davanti a me, che ci sia il sole o lo stronzo che mi supera mentre siamo in fila allo sportello. 
Lei si vede solo i piedi e il pavimento. Conoscerà tutti i pavimenti di questa città, di tutti gli uffici e gli ambulatori medici, e dei supermercati e dei bagni dei bar.
Con uno straccetto umido raccoglie a mano le foglie secche e poi lo sventola fuori. Siamo in centro e lei che fa? sparge lo zozzo di casa sua in strada. Ma certo è domenica. E questa via ora è un cortile interno, io vi spio mentre fate cose vostre. Nessun altro ci vede, cioè tutti ci vedono, io vedo voi, voi vedete me, ma decidiamo di comune e muto accordo che non ci vediamo.
Come quando ti lavi le mani in un bagno pubblico: che tu sia in un locale o alla stazione, se ti guardi allo specchio mentre ti insaponi le mani e per sbaglio incroci lo sguardo di quella dietro di te, tu non la vedi.
Mica la saluti. Ma chi sei? I am a passenger, inutile stare a parlare. 
La signora alza lo sguardo - non dice nulla, anche lei rispetta il galateo del balcone - mi vede. 
Mi giudica, palesemente. Sono una, in maglietta, a fumare sul balcone. E fisso la gente. E' evidente che non porto calzoncini o pantaloni. E' fatta. Le parte in testa il disco della sua gioventù:

"all'epoca mia mica si stava così in pubblico,
ma guardale ste regazzette de oggi eccetera eccetera
il babbo mio eccetera me le dava che non uscivo di casa per una settimana
taratà taratà".

Ecco, è finito il pezzo, continua a pulire. 
La guardo in faccia e riusciamo a guardarci solo perché io sono al secondo piano e lei al quarto. Dio com'è curva. Soffrirà? le mancheranno le cose che riusciva a vedere prima, o ci ha fatto l'abitudine? io vorrei qualcuno vicino che riesca a descrivermi cosa mi sto perdendo. O forse non lo sopporterei. Sì, a quel punto meglio morire.
(Mi fa piacere quando mi confermo discorsi precedenti, lo apprezzo come apprezzo che mi allaccio le scarpe sempre nel modo più comodo per me. Sìsì, ottimo lavoro).
 
La signora ha un vestito di lino albicocca. Fa finta di niente, si rigira, rientra e sistema le tende del suo salotto. Sembra che lo faccia credendoci. Le stropiccia un po' con le mani, ce le passa sopra, forse pensa di togliere la polvere o di stenderle meglio.  

Domani la incontrerò al reparto frutta del superconti di via ferraris, mentre saremo in fila per pesare l'insalata "riccetta" o la "trocadero", che è un nome stupendo per un tipo di insalata, non so come la pensiate voi, ma è proprio figo. Insomma, le dirò che non si butta la robaccia di casa propria dal balcone, ma che il suo vestitino mi è piaciuto un sacco e che sì, dobbiamo continuare a ignorarci perché in silenzio mi sa che ci capiamo meglio. 

giovedì 30 agosto 2012

Madre speranza


Ci accarezzano le trecce e covano il nostro successo come il più bello dei rancori
Perché ogni vittoria sarà da dividere
Mamme forti, mamme tenere
La mia principessa non farà la commessa
Il periodo è quello che è ma tu non avrai problemi
perché ho il dovere di non farti perdere


martedì 10 luglio 2012

dis/pre-occupazione

"Con la disoccupazione nasce un nuovo lavoro: il self-management!". Traduco: finisci per non trovare lavoro, ma con l'avere 18 account in siti creati apposta per illuderti che lo troverai, ma intanto ti spammano a bestia. Niente di più, niente di meno. Il novanta per cento di quelli che "cercano proprio un candidato con il tuo profilo!!" non esiste. Il link che andrai a cliccare dall'e-mail ti porterà a un lavoro da stalker a domicilio o via telefono. Stop.
Comunque. Il self-management significa che gestisci al meglio il tuo stato di disoccupazione, facendo autopromozione. Vince il disoccupato più allettante. Tra il mare di gente disperata emerge chi lo mostra meglio, come se avesse tutto e non gli mancasse niente. Passi il tuo tempo ad abbellire il tuo stato di disoccupato: "cerchi nuove esperienze, sei pronto più o meno a tutto, purché sia "interessante" (sembra lo stesso tipo di autodescrizione per un sito per incontri). In realtà ne hai abbastanza di parlare di te stesso in poche righe - che non appena ti vengono meglio passi a copiare e incollare senza remore su altre e-mail.
Insomma, ti specializzi ad essere figo pur essendo disoccupato, anzi proprio perché sei disoccupato sei figo, sempre in cerca di esperienze formative e ambienti stimolanti.
Gli annunci di lavoro sono molto "fisici": parlano molto di movimento, mobilità, elasticità: proprio quello che ci chiede il mercato (il punto è che io non sono una fottuta ballerina, e al mercato ci compro le banane);
le lettere di presentazione contengono invece sempre una parte emotiva: "mi piace", "mi appassiona", "coltivo da sempre la passione per": ricorda l'eterno stereotipo dell'incomprensione uomo-donna, sesso-amore. Comunque le scriviamo queste benedette lettere e man mano che le si scrive durante la giornata, sono sempre più brevi, indice che non se ne può più, perché hai passato il tempo a fare solo questo, a tendere la mano per stringerla a qualcuno che neanche si è accorto di averti davanti. Il treno non ferma a questa stazione.
Ma comunque questo bisogna fare, quindi di nuovo "sono Cecilia Cruccolini, ho 26 a attualmente vivo a Bologna".
In realtà ci vendiamo tutti i giorni, no (roba vecchia)? truccarsi e improfumarsi come una peripatetica professionista, è un modo di vendersi meglio, piazzarsi sul mercato, attirare un target specifico o attirarlo e basta per poi selezionarlo successivamente (qualcuno/a si ferma prima). Così quando scrivi la lettera di presentazione affetti il modo in cui parli o ti sbraghi di brutto - perché lì ci lavora genteggiòvane - e scrivi a seconda di chi ti sta davanti ovviamente (sennò che t'ha insegnato la semiotica) o a seconda di chi tu credi ti stia davanti.

"Vorrei lavorare con voi, in un ambiente stimolante e internazionale, io sono dinamica e twitto tutto il day, ma di brutto. Ciao zii!".
"Buonasera, anelo una collaborazione - azzarderei che mi darebbe giubilo un pregiato gettone!  - vogliate prendere visione, seppur rapida, del mio curriculum vitae et studiorum (qualora lo vogliate aprire, è stato modestamente allegato alla presente)".

Metti in evidenza certe cose, nascondi altre, ti descrivi solo per quello che serve, omettendo il resto, che è un mondo intero e questo mondo intero scappa fuori al colloquio, dove magari gesticoli troppo o non sai cosa rispondere quando ti chiedono dove ti vedrai fra 5 anni. Perchè lì le cose vengono sempre a galla e vorresti i braccioli.
La lettera di presentazione è sponsorizzare la propria malattia, la rendi una condizione non del tutto negativa, anzi. T'oh, sono disoccupato però, cioè vuoi mettere? posso fare qualsiasi cosa! Forse oggi vorremmo meno possibilità di scelta, meno orizzonti infiniti. Cosa ci stiamo facendo col rotolo maxi?  i disoccupati sono colmi di promesse manco fossero amori estivi (parliamone); sono giovani e "pronti", lucidano l'armatura per duelli probabili, sono vergini che collezionano preservativi e mettono da parte gli spicci "perché un giorno lavorerò in un ufficio e lì ci sarà la macchinetta del caffè".

martedì 3 luglio 2012

Anche le ciminiere fanno colazione

La notte si rimescola tutto
Si ripensa, si rimette a posto, si disloca, si sistema
I traslochi emotivi producono nuova bile
Ci si sveglia con l'amaro in bocca
Forse è per questo che si comincia a fumare di mattina
Per sospendere il flusso
Per togliere l'amaro


sabato 23 giugno 2012

Non reggo i cambi di temperatura repentini


Tuoni. Panni stesi infuriati dal vento. 
Noi invece continuiamo sulla nostra rotta, la connessione regge: navighiamo verso url inesplorate. 
Le tempeste oggi sono uno spettacolo da guardare seduti. 
Siamo pirati fasulli.
Faccio il caffè e guardo la polvere correre fuori, dal mio oblò. Siamo tutti al riparo, dietro le nostre tende.
Appesi, i miei calzini e le mie mutande rischiano di cadere sull'Arlecchino, ma aspetto a ritirarli (ognuno è trasgressivo a modo suo). 
Penso alle mollette, agli sforzi che stanno facendo. 
Realizzo che non vorrei mai nascere molletta. 
Realizzo che se credessi nella reincarnazione, la vita farebbe schifo.  Io farei schifo, o più schifo di ora.
Basta, adesso li tolgo da lì e li metto a posto. 
La piega dopo la tempesta.

martedì 19 giugno 2012

Hangover

Relazioni che non finiscono.
I postumi sono sempre qualcosa di più grosso e ingombrante di quello che li aveva provocati.
Lasciare attaccata la spina del ricordo, della cortesia, dell'affetto, del "già che ci sto"
Non saper rinunciare a qualcuno
Continuare a palesarsi nella sua vita
Come i commenti in bacheca o i "mi piace" sulle tue foto:
pisciatine giornaliere.
"Sono ancora qui! Mi vedi? Mi vedi?".
"magari ti vedi con un altro. Ma io, già sono ancora qua".
Ti sfrecciano accanto di scatto e non fai in tempo ad accorgerti che ti hanno attaccato un pesce d'aprile sulla schiena.
I tuoi principi del cuore adesso sono cani - o forse hanno sempre abbaiato ma tu sentivi solo "sei bellissima"
E ora marcano il territorio, ti si cuciono addosso come le ombre, come gli scontrini delle cose che ho consumato e che rantolano - "ciaf ciaf" - dal fondo della mia borsa, mentre cerco qualcos'altro.
Mi ricordano cosa ho fatto, dove ho bevuto, quando ho fumato di nuovo.
Non servono a un cazzo.
E la loro giornata è un interporsi continuamente tra te e un prossimo amore,
come il pasto del pranzo digerito male che ti si rinfaccia alla sera.
Come fai a cenare adesso? devi ricominciare da capo.
Riprenderlo e riscomporlo, a pezzetti, digerirlo appunto, ma di nuovo, e ancora e ancora.
E le risacche dei sentimenti sono proprio succhi gastrici.



lunedì 18 giugno 2012

Questa poi

Impara l'arte e mettila da parte (sì in freezer).
 
Gli annunci per le offerte di lavoro: nuove forme di talento letterario, innescano generi intertestuali assurdi e descrivono situazioni professionali surreali, dove non è più importante essere dinamici come una volta ma comportarsi come una proteina: “proattivi!”
Nel reclutamento per l’universo lavorativo della fuffa, ormai più che annunci si leggono manifesti artistici, missioni per crociati, dichiarazioni di indipendenza.
“Si assumo 3 candidati”,
“volontà ad imparare”,
“si lavora su obbiettivi raggiunti”,
traducibile in:

/vi offriamo un lavoro cazzo, che si fotta la grammatica italiana/.

Ultima perla, oggi pomeriggio.
Apro la posta e eccoli lì:
"Generazione Stage: Salta sul trampolino del lavoro (sperando che nella piscina ci sia l'acqua!)".


Soldatini

Muoviti, sii dinamica!
Ferma un attimo!
Sistemati i capelli!
Lasciali naturali!
Dimagrisci!
Mangia!
Studia!
Basta studiare, esci!
Guadagna!
I soldi non fanno la felicità!
Leggi!
Basta leggere!
Beh, non parli?
Stai zitta!
Vogliamo persone attive e solari!
Ridi troppo!
Giù queste spalle!
Dritta, stai su!
Truccati, sei pallida!
Fondotinta? toglilo!
Troppo corta!
Troppo lunga!
Apri!
Chiudi!
Levati!
Vieni qui!
Ho detto vieni qui!

Dove corri?


domenica 17 giugno 2012

Oceano urbano

Avete mai pedalato verso sera o di notte accanto agli autobus in corsa?
A voi agili e veloci che gli passate accanto, vi sembreranno grossi e lenti,
goffi nelle curve,
innocui giganti.
Avete mai sentito come sbuffano e ronzano?

Balene.

venerdì 8 giugno 2012

Mi allego

Gentile spettabile immobile - qual piuma al vento Esseerreelle (no non si dice!!),

sono una persona con una certa età.
Non voglio fare nessuna esperienza, vorrei banalmente lavorare, ricevere uno di quei stipendi di cui si parlava anni fa. Ne parlavano le Sacre Scritture. In quei giorni mio padre guadagnava.
Andavano tanto di moda gli stipendi tanto tempo fa, ma ora noi - si sa - siamo flashati col vintage.
Certo che ho esperienze precedenti, poco fa ho fatto la pìpì e pensi, faccio una carbonara che è una favola. Studi classici, capelli corti, penna blu, single, per me senza latte grazie. 
Vorrei candidarmi
Vorrei propormi
Vorrei avere l'opportunità
Vorrei l'occasione di
per questo stage
di imparare
di mettermi alla prova
Vorrei l'aperitivo formativo
Tanto fate così oggi no?
Tutto informale
Ciao! quanti anni hai! vuoi collaborare con noi! vuoi far parte del nostro tim!
vuoi LAVORARE PER OBIETTIVI?
scusate
Ma che cazzo significa?
Comunque sì voglio parecchie cose, ma se io non le volessi lei non avrebbe a sua volta uno scopo oggi.  Andrebbe a raccogliere margherite ma fuori piove e eccola qua, insomma è un circolo vizioso. Ma Monti? Che vergogna. Le lobby, la semiotica, i birkenstok sono sempre comodissimi. Ho fatto la hostess ma non c'entra con le birkenstoke (ma ci va la e alla fine o no?).
Mi ascolti, le mando il mio civù in allegato. In allegato, inallegato, inallegato, inallegato, maleducato, allineato, inanellato. C'ho messo un mese per farlo, 5 risate per farmi la foto da sola, tante canzoni per scrivere la sezione "Titoli". Lei non mi leggerà, lo so già. Mi leggerà sua figlia stasera, mentre scarabocchia il retro di questo foglio. Cia Martina, anche io ero una bambina tanti giorni fa. Tieni da parte i colori, nascondi le patatine sotto al letto e fatti furba come i piccioni che controllano quando arrivo sul balcone.
La cordialo , la saluto la conosco? no, ma allora cosa vuole scusi.
Le dirò ciao. Anzi dirò Salve, anche se per molti suona fascista a me piace da morire. E' morbido e accogliente. Ditelo a bassa voce al vostro gatto, farà fusa epiche.
Basta ora me ne vado, parto, vado via. Mamma installa skype, ti chiamo appena esco da lavoro.

martedì 5 giugno 2012

lunedì 4 giugno 2012

Animali da interno


Le commesse: apine laboriose.
C'è quella seccata e cupa a cui non interessa se cerchi la M.
Oggi c'è solo la L: pace.
Quanto le sei grata per la sua incapacità di starti addosso. Ma lei non lo saprà mai. Al che ti vengono in mente le quantità epiche di frutta esotica che qualche popolo indios porta in dono allo sciamano del villaggio. Lei sarebbe felice.

Poi c'è l'ostentatrice entusiasta, il prototipo "malocompranotutte!" o "guardal'hocompratoancheio!".
"Hai provato la L? guarda è meglio, calzano poco! ti conviene, al limite la fai restringere, così, costa talmente poco, sai una mia amica bla bla; ...la metti su tutto!".
Ah già, rieccolo: Tutto, vecchio mio, da quanto tempo.



Quando entri in un negozio diventi una pralina al miele.
Eccole le commesse, ti sciamano tutte addosso.
"CIAO! Bzz Bzz! Ti serve qualcosa? Chiedi pure! Bz!"
"no, grazie, per ora do solo uno sguardo".

"Solo uno sguardo" = /mollami/.
Darò un'occhiata veloce ed estremamente accurata per trovare quello che mi serve.
La tua presenza? un elemento di visual merchandising: sei un accessorio.

Oggi quello che mi serve, o mi piace, non c'è.
Troppo alta, troppo brutta, troppo volgare, troppo costosa. La scarpa giusta per me non abita qui.
Le ragazze nel negozio sono più delle scarpe invece, quando una parla le altre le fanno eco, cioè ridicono la stessa cosa a qualche altra cliente. Non sei speciale, toglitelo dalla testa.

Ecco che ti svolazzano attorno come colibrì strafatti.
Sono tutte uguali: medio-basse (credo faciliti l'effetto agguato); fanno aria quando ti sfrecciano accanto e ognuna ha un profumo ostentatamente diverso e deciso (la vanità non rispetta l'orario di lavoro).
Una più anziana sta alla cassa, muove le dita veloci ma ha il viso rilassato. Tana per l'ape regina.
Ma tu d'ora in poi avrai a che fare con le operaie.
Bzzz.....bz!
Arrivano.

“Voilà!” - ogni carneficina inizia con questa espressione.
"No ma io le vorrei tipo, così, però senza queste paillettes..."
“Le ho anche in oro!!” (fortuna sfacciata oggi)
"Sei sicura che non vuoi provare questo paio? vanno molto!"
Ma esattamente, scusi, dov'è che vanno? E poi "molto"?
Ma chi? Ma dove? Tua madre lo sa che ti pagano per sembrare una strafatta?
Ne porta altre. Sono palesemente non-come avevo chiesto. Si è sbizzarrita in magazzino, o forse le sono cadute addosso. Ne provo un paio per contentarla – grossa cazzata – ora tiro fuori la scusa che queste non vanno e il numero non mi sta.
Dio esiste: “Che peccato il 38 di queste non ce l'ho! Uff … (bzzz...)”.
Rieccola con un altro paio.
No, adesso basta.
Sto zitta e la fisso solo un momento. Spero di risultare insieme chiara, educata, ma risoluta per dio, risoluta.
Emetto un grosso sospiro, traditore di tanti sforzi:
"E' che non mi piacciono così, cioè sono molto carine [sorriso contratto] ma su di me non le vedo, non è il mio genere ecco [altro sorriso contratto]”.
Ho sorriso troppo ne sono certa. Però ha capito, sì ha capito, ma è palesemente incredula e soffre come un cane.
Alza le mani verso il cielo, scuote il capo.Immagino cosa pensa.

Sei impossibile, bzz! non ti piace niente, mi hai fatto portare qua tutte “le scarpe più belle”, io ti odio, “guarda che in giro non trovi qualcosa di diverso, bz! eh la moda è così eh ( "eh! eh!" ...eh cosa??)
Sei un alieno bzz!!, la mia peggiore cliente, sì proprio tu, come fa a non piacerti niente bzz!, nemmeno le mie, guarda che belle, bzzz!!"

Tu sorridi ma non mostri i denti stavolta, eh no.
Mi dispiace, ma non c'è storia.
A pranzo ho mangiato carne bovina: ho una dose d'assertività oggi che manco la Tatcher.
Ringrazio ed esco.



Vado in libreria, musica bassa, gente in silenzio.
Sono nel settore Viaggi e Tempo Libero.
Prendo una guida come fosse una reliquia:
“Goditi la pace dell'Oceano, fai lunghe passeggiate sulla spiaggia”.

C'è un asterisco in fondo alla pagina: “per le passeggiate sulla spiaggia di ciottoli si consigliano scarpe adatte”.