domenica 28 ottobre 2012

La domenica

Amare la domenica
Amare di domenica
Amara la domenica...
Amore, la domenica!
Ammiro la domenica
A mare la domenica
A morte la domenica
A more la domenica
Ammira: la domenica!
Amare, la domenica, ...

Affanculo la domenica


Come siamo messi?

Metti che tu esci
metti che è già buio
metti che ti vedo
metti che mi dici
“metti che ti bacio”
metti che ti mangio
metti che mi sbaglio (era uno sbadiglio?)
metti che ti dico
“metti che è domenica”
metti che è oggi.
Tu come sei messo?

domenica 21 ottobre 2012

Che sono stata in Via Paolo Sarpi e che sono percettiva

Ho visto una stanza in Via Paolo Sarpi oggi.
Dentro chinatown a Milano, c'è un cortile ampio e ombroso e una Madonna.
Da qui si vede il retro di tutti i magazzini dei negozi degli orientali e loro che ci trafficano dentro.
Buste, capelli neri sottili e lisci che svolazzano indaffarati.
I cinesi sono come i loro capelli.
Io sono invisibile, li distraggo come una mosca, stancandoli in fretta dal prestarmi attenzione (e mi piace che non gli importi di me).
I loro carretti e le loro voci indecifrabili mi ricordano "L'amante".
Dove sono finita? si chiese Alice.

Salgo le scale del palazzo. Fuori ogni porta un porta-scarpe e scarpe usate lasciate lì fuori.
Appena la raggiungo, mi fissa negli occhi, sorride e ha un rossetto rosa/violaceo perlato.
I capelli lisci e candidi raccolti in cima alla testa, lo sguardo vispo.
Che ora è sui miei piedi.

"Ho appena dato lo straccio, ti spiace toglierti le scarpe?".
"Ah, ok."
"Mettiti quelle pattine, sono pulite".
La padrona ha 55 anni, vive anche lei nell'appartamento - bellissimo - e si occupa di radiostesia.
"Sono contro i medici. Ma te sei medico? Sai che in greco medicina significa veleno? Ci avvelenano!".
Mi dice che le piacciono le persone colorate; che lei non capisce "voi meridionali" che per studiare "viaggiate tanto".

"Cara ma da voi non c'è l'università?"
Ahahahah!
"Sì, certo che c'è, è che volevo andare fuori...".
"Ah capito.." - però la mia risposta non la soddisfa.
Rimaniamo in cucina a parlare.
Una dozzina di coltelli appesi al muro sopra il lavello. Continua a chiamarmi meridionale.
"Signora veramente sono del centro...Terni, Umbria...sto a un'ora da Roma".
"Ma sai che infatti io, parlando l'italiano, il romanesco non lo capisco per niente...come il napoletano!".

La signora mi dice anche che per quanto riguarda il quartiere, la notte, devo stare tranquilla.
I cinesi lavorano sempre, da morire e non rompono le balle ("i marocchini invece").
Che ha cacciato suo figlio di casa (quando aveva 32 anni) perché "mi aveva rotto i coglioni. E poi deve trovare la sua libertà".
Lei invece non rompe i coglioni, "perché infatti suo figlio sta a Cambridge".
Che lei è una persona solare, sempre allegra.
Che lei è sempre stata libera, infatti non si è mai sposata.
Che sono ancora troppo giovane per capire cosa mi piace davvero.
Che la svolta per noi donne arriva a 35 anni (infatti lei è rimasta incinta a quell'età e ha deciso di tenere il figlio; si è messa in proprio ed è andata in India). 
Che io - essendo del Cancro - sono molto percettiva ma che ho un difetto di decisionalità.
"Proprio come fa il granchio sulla spiaggia: fai un passo avanti e tre indietro e poi giù, sotto la sabbia a nasconderti! è vero, no?".
"Sì. Posso vedere il bagno?".
"Certo, vieni. Lì c'è la vasca. La doccia si fa lì dentro".
"Certo" - è inutile, voglio provocarla: "però io so che questo non è il mio vero segno zodiacale, cioè dovremmo fare un calcolo diverso, no?".
Le si illuminano gli occhi e si schiarisce la voce: ho aperto il vaso di Pandora (ora: non so come vi immaginate il vaso di Pandora, ma questo ha un golfino a fiori e l'accento milanese).
"Devi cercare il calendario tibetano. Quello nostro è il gregoriano, lo hanno fatto i preti" - fa un cenno col capo con cui sottintende che io sia d'accordo con lei nell'odio per il clero - "invece quello tibetano ha 13 mesi, il mese che noi non abbiamo è quello dei Delfini che insieme ai Pesci sono il segno più importante di tutto l'oroscopo, segni d'acqua, che significano Passaggio. Infatti da uomo diventano donna, da donna uomo, sono gay trans, eccetera...capito?".
Capito.
"Bene, la ringrazio signora, mi farò sentire in settimana. Arrivederla", ora torno sotto la sabbia, per la precisione in metro. Ma è stato bello conoscerla.
Posso tornare per un sakè?

mercoledì 17 ottobre 2012

Tendenze di un certo genere

La metafora dello stato in cui sta l'Italia - non solo in merito alle tecnologie e all'informatica, o in merito al rapporto tra donne italiane e le tecnologie e l'informatica - è lo Smau.

In mezzo alla fiumana di giacche e cravatte, le sole donne che ho visto oggi erano tutte hostess: tutte ferme, tutte immobili, tutte in nero. Attorno a loro, tutti maschi, tutti di corsa, tutti che andavano da qualche parte. Dei salmoni che risalivano la corrente.
Impacciate o stufe (o entrambe), le bimbe belle avevano un sorriso alle 9 che alle 12 era diventato un ghigno da spasmo muscolare. Ma erano ancora con le mani piene di carta: dispenser.
Agli angoli delle scale, lanciate a dare informazioni già scritte su mappe dettagliate e stampate per lo scopo, da gente pagata apposta.
Dispenser, mostrano ai salmoni la strada, senza poterli accompagnare.


sabato 6 ottobre 2012

Colloqui del quarto tipo

Il potere si misura con l'attesa che si impone agli altri. A quanto pare, per alcuni è così.
Ragionano esattamente in questo modo: più ti fanno aspettare, più ti mostrano che per loro il tuo tempo non conta. Il loro sì, molto. Ergo: loro hanno potere, tu no.
Gerarchia stabilita, ruoli definiti.
L'ho sperimentato in un colloquio, dove per avere udienza, ho atteso tre ore.
Alla fine ero esausta (avevo preso un treno per venire lì), irritata, scontrosa, di base controllata ma pronta ad esplodere. Ah, tra l'altro il colloquio era per un master: per il master si paga l'ammissione, sostanzialmente.
La necessità di tutta questa selezione costruita, e il tempo richiesto ai candidati, se da un lato vorrebbero dare l'impressione di "vabbène che si paga per entrare ma non vogliamo proprio cani e porci", alla fine è passata per "tiriamocela più di quello che valiamo". E infatti è stato così.
Alla fine, quando l'addetto alla selezione è arrivato in sala d'attesa per stringermi la mano personalmente (forse si stava congratulando per la mia capacità di sopportazione) chiedendo scusa con l'espressione sconvolta sul viso e abbassando il volto, per poi dirmi di attendere altri dieci minuti, l'unica cosa che avrebbe meritato era un vaffanculo.
Franco e stanco.
Un vaffanculo franco e stanco è un amico. Arriva nel momento del bisogno, dritto al punto, ma senza stizza né rancore e ti dice una verità nuda e inevitabile, come l'aglio della bruschetta che si rinfaccia il giorno dopo che l'hai mangiata.
Quanto torna, il tizio mi accompagna personalmente nel suo ufficio e intanto si scusa, senza che io avessi detto "merlino!", per il fatto che gli uffici restanti erano vuoti e non c'era più nessuno.
"Guardi che se ora non c'è nessuno...ora lei vede che ci sono solo io, ma è perché gli altri lavorano da altre parti. Qui lavoriamo tutti! Sa, sono liberi professionisti e se non stanno qui non stanno mica a casa, ma a lavorare altrove!".
D'accordo. Premuroso. Ma chi t'ha detto niente?
Mi è venuta in mente la mia professoressa di latino e greco del ginnasio, che aveva un nome elegante, Danusia, nonostante lei fosse terribile come Attila, severa e pungente quando sbagliavi: non scappavi da nessuna parte.
insomma lei, mentre un alunno mugugnava scuse e giustificazioni dopo aver fatto il primo errore alla lavagna, diceva sempre questa frase in latino: "excusatio non petita, culpa manifesta".
Lapidaria. Cazzo se coglieva nel segno.
Quindi: chi t'ha chiesto niente? Coda di paglia. Qui non ci lavora più nessuno. Bene.
Questo è un coglione. Non me ne sono andata subito, solo perché ormai la mia giornata era andata persa, lì per lì ho pensato.
"Guardi, siamo nella stessa condizione...Io sono stanco, sono le cinque anche per me, mi comprenda!".
"Sì sì, faccia pure...". Stanca.
Ma il mio tempo, le mie tre ore, non me le paga nessuno, le sue sì.
In quelle tre ore in cui avrei potuto farne altri tre di colloqui, ho passato il tempo a riempire - per soli 30 minuti - un questionario; ad imprimere a un divano di finta pelle, la forma accurata delle mie natiche (senza alcuna soddisfazione del risultato); a guardare dalla finestra le foglie scosse dal vento, secche e croccanti sotto l'ultimo sole d'autunno caldo... ah, potrei essere là fuori, a correre o a passeggiare contando le cicche per terra...blabla (un viaggetto mentale senza bisogno dei biscottini di Proust) ; in quelle tre ore ho conosciuto altri due sfigati - nel senso buono - come me che erano lì per un colloquio. Un ragazzo e una ragazza. Tesi, socievoli come tra i condannati che aspettano il proprio turno; nervosi e stupidi un po'. In questo caso la selezione era per metà assicurata e però la sindrome è quella sempre.
Siamo o no noi, la risorsa? perché c'è la sindrome da /oddio non valgo un cazzo!/
Laurea triennale, laurea magistrale, in corso e a pieni voti, lode, master, esperienze all'estero, due lingue, un nobel, 788 di QI, il terzo occhio della mente attivo come un riccio a primavera...però no, non vali niente. Non ho esperienze!! O mio dio!!! Non ho esperienze!! C'mon! tutti in filaaaaa!! Corriamo a deprimerci!! DAI!!

(Ok la lettura di questo post e del colloquio che mi è capitato è deprimente. Ma il punto è che non siamo un lavoro. Siamo persone che vorrebbero fare un lavoro. Se smettessimo di identificarci con un ruolo professionale e iniziassimo a considerarci persone, sapremmo guardare con più distacco a questa situazione - che rimane critica - ma abbiamo ancora noi stessi, i nostri interessi, le passioni, un cuore, una testa che pensa e crea continuamente, qualche buon amico e qualcuno di speciale a cui pensare.)

Ultimamente mi sento una forma di energia che continua a funzionare solo da sola, come un sistema chiuso.
E il circolo esiste solo perché è il mio carattere o un pungolo esterno a farmi ripartire.
Io mi attivo e poi mi disattivo quando incontro persone come quella del colloquio.
In treno al ritorno, ero triste. Poi ci ho riso su. Lo imiterò a cena con gli amici; loro rideranno, io ci riderò.
La sera prima di dormire penso che sia una cosa triste e che probabilmente, mi ricapiterà, ma questo non deve avere a che fare con me. Sono loro il problema. Anche se loro poi, sono quelli che dovrebbero assumerti. Fortunatamente ho incontrato anche persone serie, va detto. Persone puntuali, che si sono scusate davvero per il loro ritardo, se c'è stato. Non so se la parola giusta per queste persone sia "umili" o "normali", io li chiamerei "bella gente".

Insomma la faccenda dell'attesa è una cagata pazzesca.
I militari quando vanno a fare un colloquio vengono sottoposti a questo trattamento: chi rimane fino all'ultimo,  aspettando tutto quel ritardo rispetto all'ora concordata, è più disposto a ricevere degli ordini. Farà meno di testa propria, rimarrà sul posto ad attendere istruzioni, cederà meno degli altri alle lusinghe di quella roba figa e antipatica che è il libero arbitrio.
Cosa dovrei aver capito io, dal fatto che ho aspettato tutto quel tempo?
Sono arrivata in sede alle 15,20: sono uscita alle 18,33. Ho perso due treni. Questionario di 30 minuti, colloquio di altri 30 minuti. Dovrei capire che non conto poi molto? che il mio tempo non ha valore e non è valorizzabile?
E il colloquio infatti è stato una fuffa. Segno evidente che se si tiene troppo a stabilire una gerarchia, non si nota tutto il resto, anche la cosa più importante: io ero lì per un corso che mi desse certe nozioni e che mi insegnasse qualcosa, loro hanno ancora bisogno di gente che li paghi.
In merito al colloquio. Beh. La stagione di prosa era appena iniziata e non me ne ero ancora resa conto.
Ero a teatro e lo spettacolo si era fatto attendere ma l'attore valeva l'attesa, col senno di poi.
"Questo master guardi, neanche dovrei dire nulla! Brilla di luce propria!".
Oddio. Alberto Sordi che fa il ganzo in Un americano a Roma non era così molesto.
"Se le faccio vedere la lista dei collaboratori, le faccio brillare gli occhi. ...Le faccio brillare gli occhi??"
Sì, mi faccia brillare gli occhi. Come brillano gli ordigni nucleari. Mi faccia esplodere, così le imbratto la scrivania.
"Addirittura? sì grazie..."
Mi passa il foglio.
La sacra sindone.
La apro.
Scorro la lista, volutamente senza sorpresa. ormai ho accumulato la carogna per l'attesa.
Non se ne va. Sono fatta così. Male, sicuramente, però devo dire che la mia bile ha un che di coerente e la coerenza oggi è roba d'altri tempi, vintage diciamo. Con questa brutta gente riporterò in auge lo scazzo perpetuo e costante. Mi rifiuterò, li rifiuterò.
"La donna è mobile qual piuma al vento"? Sì. Ve lo augurerete.

Comunque, chiudo i fogli, li poggio sul tavolo e glieli restituisco.
Sogghigna agitandosi senza motivo: "giusto per darle un'idea del..." (sfuma in sottofondo).

***
PICCOLA PARENTESI sullo SFUMARE IN SOTTOFONDO LE PAROLE.
lo sfumare in sottofondo è un'altra strategia dei selettori al colloquio: ti costringono a non fare il minimo rumore perché altrimenti non riesci a intuire come finisce la frase. Ti costringono a seguirli e a riempire i buchi delle loro frasi intuendo la parola giusta.

[DIALOGO NELLA MIA TESTA CON UMBERTO ECO:
U. - caRa cecilia ma è così che funziona la comunicazione!!!
C.- Eh no! "cooperazione testuale" un cazzo, caro Umberto. Questi sono degli ermetici balordi, punto!!
U. - Non voglio che si paRli in questo modo!! non me ne fRega niente se siamo nel tuo inconscio!
(scazzottata)].

La sfumatura verbale è lo strumento usato nei gruppi più spietati dei servizi segreti russi; è stata usata inoltre durante la scuola per passare la versione di latino e greco; infine, credo risulti una strategia telefonica erotica per mantenere viva l'attenzione dell'interlocutore e stimolarne la ricettività (ma su questo devo consultare la bibliografia in merito, magari al prossimo post).
A me è successo questo:
"Vede possiamo fare...[bzzzz ssshhh  BUIO ssshhh] il 20, ma il 26 settembre no, dopo di che, se lei non, e io nemmeno, allora... [bzzZz ssshhh BUIO ssshhh] siamo d'accordo?" (Sorriso finale  - fissandoti e cercando un feedback positivo).
Io: "Sì sì, certo siamo d'accordo, ho capito perfettamente". (altri sorrisi di conferma e annuisco come un cortigiano del Sol Levante).
Anche chi fa così, obiettivamente è una brutta persona, e le auguro i lavori forzati o almeno una modesta attività di mondina. Sibilare al riso forse sarà utile per scacciare i topi mentre lo raccogli con l'acqua ai piedi.
***
Tornando all'Albertone nazionale.
Ultimo atto.
Risata a sbuffo per inaugurare la frase, odiosissima: "lavoriamo solo con i migliori!"
E i più cari, aggiungerei.
"Come lei ben saprà...".
No. Questo no.
La formula che dà l'allarme in qualsiasi contesto.
Ora scappo.
Sono al primo piano: rapido calcolo.
Se mi butto dalla finestra cado in piedi, non dovrei farmi male. C'è il bus per la stazione qua davanti, è un attimo.
"Sì ma io l'ho capita, guardi".
Rabbrividisco.
Mi ha smascherata. E' fatta.
Chiederò scusa, dirò che c'ho ripensato e che devo andare via. Non è mica una tragedia. Al limite simulo un malore, senti...
"Sa io leggo tutti i movimenti del corpo, la prossemica, di lei ho già capito tante cose che lei pensa di non lasciar vedere".
Cristo!
tipo? Lo leggi "Fottiti" qui? lo leggi? Effe, ò, doppia t...

"Lei è una determinata, è posata e cortese, ma quando vuole lei va dritta al centro".
Lo fisso.
Mi fissa: "Ha trovato il centro?"
Sì. ma tranquillo: sentirai solo una fitta alla fronte.
"Mh..no no." Socchiudo gli occhi. Risatina.
"Lei non a caso è seduta qui. Lo sa che dove le faccio sedere le persone antipatiche?? Sulla sedia accanto a lei!! lei mi sta proprio simpatica, andremmo d'accordo, lo so!".

Ah. Allora è solo scemo.