domenica 10 novembre 2013

Bootleg experiment 6/10


È ancora online l'ultimo numero di Bootleg che ha ospitato una mia riflessione dal titolo Occhi nuovi
Pippone mio a parte, date un'occhiata al contenitore, un vero e proprio esperimento editoriale: non è poi così impossibile trovare una giraffa in giardino.

bootlegexperiment.it

mercoledì 18 settembre 2013

Ho scritto un racconto brevissimo (o un romanzo concentratissimo) e lo pubblicano. Quindi niente, ci si becca a Roma?

Domani a Roma verrà presentata l'antologia "Storie in 100 parole", da L'Erudita Editrice (ecco l'evento su fb). Chi vorrà, potrà trovare editore e autori al Beba do samba, in Via De' Messapi 8. Ci sarò anche io a fare da quarta di copertina ambulante della mia storia in cento caratteri. 

Non so cosa si dice di utile in questi casi. Solitamente le presentazioni sono una ganzata sofisticata per l'aperitivo gratuito, accompagnato da decisioni avventate come comprare un libro che ti illumina sull'evoluzione della poesia armena negli ultimi due secoli (quel tizio era così affascinante, dov'è il mio portafogli?), ma in linea di massima una serata in cui ci sono dei libri finisce sempre bene, con incontri curiosi e un doposbronza che non compromette il regolare svolgersi del weekend in arrivo.


Di chi era la festa ieri sera??
Ma no, presentavano un libro.
Ah. C'era Saviano?
No
Che ci sei andata a fare?


Dimenticavo, la mia storia s'intitola L'ingegnere.
Mi raccomando, non siate puntuali.

   

giovedì 11 luglio 2013

La nuova arrivata

"Quella è un pozzo di guai". Non la guarda nemmeno.
La signora dell'amministrazione scuote soltanto la spalla sinistra per farmi capire che si riferisce alla ragazza giù in fondo.
Quando fa questi movimenti sembra un'anziana chiusa in un istituto: ha uno spasmo involontario perché nessuno le porta un po' d'acqua, ma l'orgoglio non le permette di chiamare aiuto. Così rimane alla sua finestra, continuando a passarsi tra le dita delle mani la carta di un cioccolatino mangiato il giorno prima.
Io allungo lo sguardo ma vedo solo la testa. La stagista ha i capelli fini, talmente ordinati che non le serve tenerli con un elastico o un cerchietto.
Mentre ragionavo su quella tenda innocua e leggera color nocciola, sbucano gli occhi.
Si è accorta che la stavo fissando. Abbozzo un sorriso di comprensione imbarazzata. Non lo ricambia, batte le ciglia e si rimette con gli occhi sul suo lavoro. Torno a vedere solo i capelli. Li ha fermati dietro l'orecchio sinistro prima di rimettersi sul suo documento. Il sole le batte sulla testa facendole brillare certe ciocche.
Non ho mai capito l'atteggiamento dei colleghi all'arrivo di una nuova o di un nuovo stagista.
Ogni volta a pranzo si ripeteva un giro di chiacchiere in cui si distribuivano, tra un boccone e l'altro, informazioni sparse sulla persona in questione. Ne usciva un quadro inverosimile e un po' meschino. Loro erano meschini.
Queste demolizioni mi abituarono presto a fare a meno di pranzare con i colleghi tutti i giorni.
A volte capitava che andassi fino al parco in fondo all'incrocio.
Preferivo mettermi a masticare un panino e ammirare la pazienza di certi padroni e padrone che attendevano che i propri cani evacuassero per poi raccogliere con perizia aristocratica il pezzo di cacca con una bustina. I limiti dell'amore mi hanno sempre affascinata.
Cercavo spesso questi confini invalicabili. Mi misuravo con le personalità degli altri, per quello che riuscivo a capire dal loro aspetto.
Per capire com'è una persona, bisogna guardarla mentre aspetta, come si sistema addosso le mani o intreccia i piedi, come riempie quel momento, come si sfila l'imbarazzo di dosso per rimetterselo di nascosto quando capisce che non lo vedi.
Uno sguardo smarrito o l'appoggiarsi al muro, ad esempio, rivelano un'abitudine ad essere abbandonati o all'abbandonarsi.

Terminato lo studio senza una tesi definitiva, rientravo in ufficio come si ritorna dalle vacanze a settembre: sforzandomi di non trascinare i piedi, sorridendo in apnea, cercando con gli occhi il cielo tra i palazzi e con la testa che fatica a ricordarsi di rimanere su collo.





giovedì 27 giugno 2013

Metrovaneggiamenti

Quando entro in metro mi aggrappo ai pali metallici come una scimmia stanca.
La sera il vagone è un utero caldo e sudato che accoglie e sposta tutti.
Pachistani cogl'ombrelli, commesse di Zara, africani coi libri sull'Africa. Stasera ci accompagniamo tutti a casa. Lasciamo incontrollato uno sbadiglio mentre con le mani distendiamo la fronte accartocciata dalla stanchezza. Le braccia sono funi attaccate al centro di un soffitto. Le molliamo lungo il corpo come sassi in un pozzo: aspettiamo di sentire il tonfo (vero scopo del lancio).
Non si vuole mai dire qualcosa, ci limitiamo a guardare senza darlo a vedere, riconoscendo che tutto è ancora quello di otto ore fa.
Cerco un luogo neutrale dove puntare gli occhi, fingendo disinteresse per tutti gli altri, mentre ripasso le tracce dell'ipod. Non c'è nulla che possa evitare questo viaggio in compagnia tra finti distratti.
La metropolitana azzera tutto e tutti: è l'unico momento in cui perfetti sconosciuti sono bloccati per un frangente della propria giornata in un luogo preciso e limitato.
Siamo vincolati da un tempo, dall'attesa di minuti precisi, gli unici riconoscibili della nostra giornata. Andiamo a rallentatore verso il convoglio che sta frenando, saliamo, ci sediamo nel salotto e aspettiamo. Nell'attesa misuriamo l'intelligenza degli altri a seconda di come ognuno prende la propria postazione e di come la mantiene. In questa strana riunione tra sconosciuti anonimi, ci pesiamo in spazi tolti e gomiti affondati nei fianchi.
Ma questo correre di passi certi, di piedi svelti e di partenze obbligate è anche la certezza di un ritorno consolatorio, di un'accoglienza promessa, di una salvezza.
Perché partire è partire, ma partire è anche tornare.

mercoledì 19 giugno 2013

LA RAGAZZA DAI CAPELLI STRANI - Impressioni su David Foster Wallace

Qualche giorno fa, stavo per scrivere questo post prima ancora di finire il libro, a un racconto esatto dalla fine.
Non avevo mai pensato che avrei potuto scrivere di un libro mentre ancora lo sto leggendo.
Mi è accaduta la stessa cosa che succede quando conosciamo qualcuno: inevitabilmente, dopo i primi minuti di conversazione, abbiamo stabilito se la prossima volta cercheremo di evitare qualsiasi contatto con quella persona o se forzeremo delicatamente un incontro.
In poche parole avevo colto e assimilato il senso del libro, o meglio il senso di questo libro per me, e non vedevo l'ora di ordinare le impressioni in un paragrafo coerente, di tradurle in fretta per dirle finalmente a qualcuno. Però non mi sembrava giusto, così ho atteso l'ultima pagina e quelle che seguono sono le mie impressioni su tutto il libro e chi l'ha scritto.

L'autore in questione è David Foster Wallace, autore che si inserisce in quella lunga e straordinaria tradizione di autori di grande successo che non erano tali quando erano ancora in vita. Il nome di Wallace infatti non era emerso, almeno non così tanto in Italia, mentre era ancora in vita (per chi non lo conoscesse o lo conoscesse poco, questo articolo può farvi da bussola per recuperare).
Quando lessi per la prima volta di lui - purtroppo soltanto due anni fa - ho pensato che dovevo assolutamente leggerlo, poi gli studi e la tesi hanno imposto altre letture. Soprattutto leggendo i commenti sulla sua scrittura sparsi nella rete, avevo capito che la sua lettura sarebbe stata impegnativa da approcciare. Avevo bisogno di un momento diverso ma già guardavo i suoi titoli ogni volta che entravo in una libreria.
La ragazza dai capelli strani: ho iniziato da questo libro ed è stato un caso perché mi è stato regalato (parlo dell'edizione di Minimum Fax, 2011 con la traduzione di Martina Testa).
In tutto nove racconti, nove ispezioni dell'animo umano, collocate in precisi momenti storici.
Un verbale accurato delle nostre incapacità decisionali, delle nostre paure e inceppature emotive, restituite con uno stile inedito, che riporta voci multiple e presenta numerosi eventi anche in poche righe. Lo stile di Wallace ha una linearità di esposizione e una completezza rare, credo estremamente difficili da realizzare. Detto banalmente - proprio perché l'effetto che ne deriva è quello di un'immediatezza e lucidità difficili per me da descrivere - "l'autore dice tutto" con il raro pregio di non risultare claustrofobico, né accumulativo.
Racconto dopo racconto, sbalzato da un'epoca all'altra, il lettore entra nelle dinamiche personali di uomini, donne, giovani e meno giovani che affrontano momenti-chiave della propria esistenza. Momenti che non solo li cambiano, determinando le loro azioni future, ma sono l'occasione per misurare la propria personalità nel confronto con quella degli altri. Un confronto che spesso li distrugge perché gli restituisce la propria vera faccia, o quella altrui, con tutte le crepe del caso.
Wallace non giudica nessuno, non dà colpe, non costruisce un cattivo, non è meschino; si inserisce sotto una soglia, e posizionato al di sotto di essa, guarda fuori. C'è comprensione profonda, ma non immedesimazione totale. Si rimane al di qua di quella finestra: siamo da quella parte, ma non così dentro; siamo abbastanza vicini da vedere tutti gli sforzi del personaggio per cercare di essere ciò che vorrebbe essere, ma non tanto da permetterci una fusione totale con esso.
Un altro aspetto che colpisce della sua scrittura è la vocazione clinica nel voler indagare l'emozione umana, restituendola attraverso accostamenti inediti.
L'autore crea spesso delle immagini potenti:


  Una delle macchine si ferma sul bordo dell'autostrada. Una giovane donna 
  con il viso floscio fa scendere dalla macchina due bambini (p. 7).

L'essere umano dei racconti di Wallace sembra un cartone animato, un pupazzo mai abbastanza adatto per qualsiasi gioco: nel tentare di realizzare la sua vocazione sociale fallisce in una serie di movimenti sconnessi, in gesti goffi e tic nervosi, rivelando tutta la sua ignoranza relazionale, che tuttavia non è ignoranza emotiva. C'è la consapevolezza di una perdita, di un certo dolore, ma identificarlo e nominarlo spesso è impossibile.

Qualche giorno fa leggo del "caso Green": la vedova dello scrittore - Karen Green - è l'autrice di Bough Down, libro nel quale affronta la drammatica perdita del marito aprendosi per la prima volta al pubblico. La lettura di un autore morto prematuramente e in circostanze tragiche (il 12 settembre 2008 Wallace si tolse la vita impiccandosi nella sua stessa casa e a trovarlo fu proprio sua moglie), trasferisce immediatamente tutto ciò che ha scritto in una cornice di interpretazione particolare, quella di una serie di interrogativi che il lettore più o meno esplicitamente inizia a porsi, mentre si appassiona al testo: non fosse stato così gravemente depresso, avrebbe scritto quello che ha scritto? il suo stato mentale ha influito il suo modo di scrivere? Come separo l'autore dall'uomo?
Domande sotterranee e spontanee che nella critica letteraria ciascuno, di volta in volta, ha giudicato legittime o meno e che non portano mai davvero a risposte univoche e definitive, ma sono di per sé la testimonianza di quel fascino misto a soggezione che si prova nei confronti di un autore di talento, soprattutto per chi, come me, aspira ad un'idea di puntualità dello scrivere che si avvicina molto alla sua.
La grandezza della scrittura di Wallace (e quindi la grandezza della sua sensibilità) è quella di realizzare dei cortocircuiti perfetti: non descrive la sensazione umana che deriva da qualcosa che accade, ma esattamente ciò che accade nell'intimo.
Proprio come un sismografo estremamente sensibile, l'autore è riuscito a registrare un movimento interiore e la preziosità di questa scrittura sta nel suo potere di rivelazione di quel tipo di movimento, di quel piccolo sisma che ognuno di noi prova nel corso della propria vita, in diverse circostanze:

 Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che 
 non si riesce a chiudere, nel guardarla (p. 300).  


   Buona lettura.

martedì 18 giugno 2013

Per il nuovo arrivato nel palazzo

Da qualche giorno sento scrosciare i tuoi pianti.
Mi sforzo di capire se è perché hai fame o perché devono cambiarti il pannolino: sei un essere misterioso.
Credo tu sia un maschietto, ma non potrei esserne davvero certa. Abiti nel mio stesso palazzo e già rivendichi con le tue grida il tuo spazio e la tua attenzione.
Chissà se sei italiano o filippino o africano o cinese. Che che cosa poi vorrà dire. Siamo a Milano: qualcuno qui davvero crede che abbia importanza? Ti diranno che è importante lavorare.
Spero che quando inizierai a saper afferrare gli oggetti, tu possa già conservare il ricordo della purezza di certi pensieri che credo si facciano quando si è piccoli, cose banali, verità luminose. Spero che riuscirai soprattutto a conservarli a lungo per farli sbocciare quando diventerai adulto.
Io farò 27 anni il 28 giugno prossimo. Mi aspettavo tante cose di questa età, quando ero piccola.
Pensavo che avrei avuto già in pugno una strada mia, che sarei stata tanto felice, che avrei già capito tutto.
La verità è che adesso vivo quella che a scuola ti insegneranno a chiamare "la grande crisi dopo quella del 1929". Roba già trita e ritrita oggi, probabilmente ci faranno delle magliette spiritose mentre studierai al liceo.
Perché ci devi andare e dovrai studiare e, attenzione, anche non studiare. Cioè dovrai sapertela vivere.
E' una roba assurda da capire ora, ma conserva se puoi questo post - come un foglio non potrà ingiallire e spero che qualcuno potrà recuperartelo - e quello che ti dico.
Io sono cresciuta con il mito del 68 (strano quante volte si guardi con reverenza fatti non vissuti in prima persona): è un numero bellissimo, ma vuoto. E' una bella scatola. Oggi molte cose che venivano urlate per le strade in quei giorni lì, che non ho nemmeno vissuto, sono aria fritta. Negli anni e anni successivi a quel numero è successo esattamente tutto quello che si voleva evitare; e anche peggio.
Se sei una bambina, e continuerai a vivere in questo paese, ricorda che probabilmente non potrai abortire. Ricorda che certamente non è una scelta da prendere in maniera superficiale: è un'esperienza che può essere traumatizzante e dolorosa. Ciò che conta è che tu ne sia consapevole e se sarà davvero una tua scelta, allora sappi che molti dottori qui sono convinti di poterti dire cosa fare e cosa non fare. Un atteggiamento molto di tendenza (preparati anche a questa parola).
Dovrai farlo tu il 68 insomma.
Dovrai dire tante cose, leggerne ancora di più, alzare la voce, schiarirla bene prima e alzarti in piedi.
In questi giorni in Turchia, per dire, la popolazione ha manifestato per difendere un parco. La protesta è stata repressa brutalmente. Ancora oggi però continua e nuove forme di dissenso, poetiche, sono state inventate. In questi giorni ci sono persone che ad esempio, se ne stanno semplicemente tutte insieme, in piedi, ferme, nello stesso posto.
Puoi immaginare qualcosa di più chiaro e forte del messaggio "io da qui non mi schiodo"? Tu dovrai fare la stessa cosa e tante volte (ti auguro piedi resistenti e gambe forti).
Se sei gay, beh che te lo dico a fare. Tante persone cercheranno di dirti cosa devi essere e cosa non essere, cosa fare e cosa non fare. Tu sii te stesso, impara a renderti giustizia semplicemente essendo te stesso.
Coltiva la tua piantina giorno per giorno.
Scegli il vaso più adatto e l'esposizione migliore, riparala dal vento e dalla neve, aprila al mattino verso il sole e ritirala alla sera se fa troppo freddo. La personalità non ci viene data al momento della nascita: la scopriamo piano piano e come un'orchidea, è delicata. Va curata giorno per giorno e difesa dagli attacchi esterni, da chi vorrebbe potarla (c'è chi la vorrebbe pure di un colore diverso!).
Attento al gruppo, alla mentalità conformista, al branco, allo stesso modo con il quale devi stare attento a chi afferma di voler difendere i deboli e i buoni, a chi afferma di essere dalla parte del giusto. Prima osserva e verifica il suo comportamento.
Ricorda che ognuno parla per se stesso, la tua opinione è importante quanto quella di un altro.
Rispetta gli altri ma fatti rispettare.
Studia bene storia, perché lì tante risposte sono lasciate raffreddare senza che nessuno si ricordi di tenerle al caldo.
Attento alle bugie, all'apparenza, all'importanza data a quest'ultima, al potere delle parole, alla paura del potere delle parole; attento al silenzio o alla risata troppo fragorosa che maschera un abisso profondo.
Mi raccomando: impara dall'arte, ascolta molta musica, canta e balla spesso.
Fa' tesoro dei dettagli, dello scorcio che rapisce il tuo sguardo, guardati sempre intorno, sii curioso, fa' tesoro di una parola detta nel momento giusto, di un abbraccio spontaneo.
Ma sento che hai smesso di piangere. 
Sei capitato nelle braccia di qualcuno che evidentemente sa cullarti e ignori le urla dei tuoi fratelli (tuo padre perché li sgrida?) che di sotto giocano a calcio, in quello che sembra un cortile da oratorio.
Come capirai presto, ogni mondo è paese e ogni quartiere di una grande città è, a quanto pare, l'angolo riparato di un paesino di campagna. 
Tanti auguri e buona vita. Se ti serve qualcosa, mi trovi al terzo piano.

lunedì 3 giugno 2013

Se gioventù sapesse

Riflessione obiettivamente insopportabile e senza un punto chiaro d'arrivo su un oggetto quotidiano inteso come una specie di amuleto casalingo, che mi serve da pretesto per scrivere un nuovo post mentre aspetto la fine della centrifuga.


Dovremmo coltivare uno stendino.
Tutti dovremmo averne uno.
Ma il punto è: va coltivato, cioè rispettato e usato con cura.
Perché lo stendino ti permette di far asciugare i tuoi vestiti e dunque di indossarli. Ti permette di seguire una regola civile che prevede che non puoi girare completamente nuda (almeno in questa porzione di cultura) di non avere freddo, di assecondare un tuo gusto personale. Mi sembra già abbastanza per correre a comprarsene uno. 
Vale la pena però approfondire. Dunque dicevo, lo stendino. 
Lo stendino accoglie le tue cose. Gli fa passare l'aria attraverso. E' una specie di finestra, di fenditura, è un filtro, una porta. Fa prendere aria alle cose, che altrimenti metteresti per terra. Lo stendino le eleva, non so se mi spiego. 
E' come la passeggiata all'aria aperta: ti schiarisce le idee. La cosa ha un che di filosofico, e anche se il "che" solitamente è tra le cose più ardue da spiegare - come un lenzuolo matrimoniale! - ci proverò portando il famoso caso del calzino.
Il calzino, prima di stendersi sullo stendino, è un pezzo di stoffa zuppo, niente di più.
Un volta che lo stendino lo ha accolto il calzino, esso lo trasforma.
Ciò a cui non abbiamo la fortuna di assistere - perché di solito uno stende la mattina prima di uscire per andare a lavoro e ritira tutto la sera - è questa grande trasformazione, trasmutazione, reincarnazione in qualcosa d'Altro.
Alla sera noi conosciamo il Calzino: coprirà il piede, lo terrà caldo e lo vestirà prima di fare il debutto mattutino nella scarpa. Per i piedi il debutto è importante. 
Anni di preparazione sembrano ridicoli quando giunge il fatidico momento (c'è una nutrita bibliografia sull'importanza del piede e tutta una letteratura feticista che neanche vi sto a dire).
Insomma, lo stendino. Anzi, lo Stendino.
Sicuramente Astolfo, oltre al senno di Orlando, si è caricato sull'ippogrifo anche uno stendino (ma Ariosto non poteva scriverlo: gli Estensi - borghesi - avevano l'asciugatrice).
Trattate sempre bene il vostro stendino, è un oggetto magico, quando spalanca le braccia è per compiere un incantesimo.

 
 

domenica 26 maggio 2013

CHUCK PALAHNIUK - Ninna Nanna

Riporto di seguito la recensione di Ninna Nanna di Chuck Palahniuk, pubblicata in QLibri.
Ne seguiranno altre e le pubblicherò sempre anche in questo blog (perché chi scrive, in fondo e in realtà, nasce sempre leggendo).


Il mondo di Carl Streator è popolato da streghe, manipolazione del pensiero, incantesimi di possessione, lotta tra il bene e il male e il dubbio se davvero questi siano così distinguibili tra loro.
Le vicende di quello che sembrerebbe il mondo parallelo nel quale tutti avremmo paura di inciampare, non è altro che lo sguardo allucinato su come le nostre vite siano davvero possedute e i demoni responsabili non sono altro che abili comunicatori.
Il Grande Fratello, l'onnipresenza dei media, la sensazione di essere seguiti, di essere spiati, manipolati: questa è la nostra vera fobia contemporanea, l'ossessione sottile che ci tiene svegli. Palahniuk traveste e colora i nostri incubi con atmosfere e personaggi ai limiti dell'assurdo - perché sembra volerci dire che una cosa è più distintamente riconoscibile quando la si guarda attraverso una prospettiva straniante - trasmettendo questa ossessione per tutto il corso della lettura. La caccia alle streghe, la caccia a tutti coloro che usano la menzogna e il travisamento della verità (vero tema del libro); il timore di non sapere di chi possiamo fidarci (e di noi stessi?); la sete di controllo; il potere di vita e di morte sugli altri che confonde le vittime con gli aguzzini; l'indagine sul sentimento dell'amore, che rimane l'incantesimo più difficile da decifrare.
Più che un thriller, preparatevi a un racconto disturbante sulle vostre paure, anzi sulla paura più grande di tutte: che il nostro mondo sia davvero questo.

martedì 14 maggio 2013

La danza

"Ehi". Non mi riesce mai. Alla fine la voce mi abbandona dopo un verso sordo e mozzo.
Continuo a stare in piedi e aspetto. Non voglio appoggiarmi da nessuna parte. Il mio interlocutore è ancora soltanto una schiena.
Devo rimediare al volo. Ci riesco con un tono medio e sereno nella frase successiva:
"Come stai?".
Un fracasso improvviso di plastica e metallo mi risponde prima di lui.
"Il solito". 
Ultimamente armeggia con vecchi computer. Dice di sistemarli per gli amici. Nel senso che li sistema nel suo garage. Si tira su e mi viene incontro. I nostri occhi si incontrano sbrigativi. Mi sposta i capelli.
"Scusa, c'avevi una cosa".
"Ah. Grazie". Dopo la battaglia, lo sconfitto ha già la sua rivincita. Le sue ferite non ci ricordano il perché le avesse meritate. Improvvisamente rendono solo più urgente una cura.

Mi accorgo che non ricordo se indosso le scarpe. Mi guardo i piedi.
Forse queste mie pause sono opprimenti, forse dovrei dire qualcosa. Me lo dicono le sue spalle insieme agli occhi avviliti, che adesso pianta nei miei. Inizia a fare un movimento con la mano nell'aria. E' un po' rosso in volto; il segnale ufficiale delle sue scuse.
"Senti, per ieri...". Inizia il suo discorso e nel frattempo continua a raccogliere aria col palmo della mano davanti a me. Movimenti leggeri e cauti. Poi distende il braccio lungo il corpo. Riprende la parte più difficile del gioco retorico e di nuovo raccoglie delle grosse nuvole e me le porge. 
Rimango seria ancora un po' anche se so già dove andrà a parare. Attendo che si concluda l'atto, che si prosciughino le nuvole e che torni l'azzurro perché alla fine torna sempre. (Ecco, è il momento).
Inizio a sorridere. Me lo sento arrivare dalla gola: è l'incapacità di andare oltre. L'emozione torna su, ancora e ancora una volta. Sorrido talmente tanto che credono lo stiano facendo anche gli occhi perché li sento più grandi e senza controllo. Ho perso definitivamente, ma questo me lo dirò da sola più avanti. Ora è troppo tardi, dobbiamo abbracciarci, è d'obbligo.
"Scusa" mi dice.
All'alba i due eserciti raccolgono i propri cadaveri. Qualcuno guarda il cielo perché il sole tramonterà ancora.
Lui ora riassume tutta la faccenda e sembra tutto stranamente, assurdamente chiaro.
Il fatto che riesca a tenere tutto in ordine nella sua testa, mi è sempre piaciuto.
Cazzo è intelligente. Che ci fa con me? Si è interrotto. Oddio avrà appena detto una cosa che avrei dovuto ascoltare e l'ho persa. Oddio lo ha capito, mi sta parlando: "Ma che fai?".
Mi accorgo che mi sta guardando le mani. Lo faccio anch'io e capisco, sollevata, il motivo.
"Mi sono lavata le mani e mi è rimasto del sapone incastrato".
Mi prende la mano e se la porta al naso. Non per vedere che il mio anello è impiastricciato, ma per sentire il profumo. 
"Mughetto?"
"Sì. Ti piace?"
"Parecchio".


giovedì 9 maggio 2013

Saluti

Ciao zia, ci siamo conosciute troppo tardi.
I parenti te li ritrovi per sangue, li vedi poco e spesso alcuni sono persone con cui non condividi nulla.
Con te c'è stato, seppure brevemente, quel sorriso che anticipa future intese.
Ne ho assaporato il primo calore, come si fa in questo periodo dell'anno con l'estate ( e già ti immagini in costume).
Credo che ti penserò spesso, penserò che ho incrociato la vita di una persona sempre di corsa e radiosa, una scheggia indaffarata.

domenica 28 aprile 2013

Crema come una volta

I rumori esterni aiutano a definire meglio la mia solitudine.
Il sassofono di un disco è il sottofondo al mio pensiero dell'addio, del nostro, di quello che avverrà a breve.
Misuro le ore spiando le ombre sulla parete. Uscire certi giorni, richiede molto coraggio.
Oggi starò qui.
Ripasso le mie abitudini ripiegando i miei vestiti, ripensando a come li indosso solitamente.
A quantificare la mia persona con tutte le cose che ho fatto
con tutte quelle che non ho fatto
quelle che ho appena assaporato
Le cose che non ho iniziato neanche a capire
le rinunce
le lasciate perse.
Ma se certe cose uno non le fa, non vorrà dire che semplicemente non le vuole fare o non fanno parte di lui?
Ma allora cos'è che fa parte di me? Cosa mi definisce?
Il partire?
L'andare? Il saper disporre biancheria in una valigia, forse.
Cosa sono capace a fare?
Tutto e niente,
un caffè e l'oceano intero.
Oggi starò qui a fare caffè, a fare oceani interi, a disfarli e a farne goccioline da conservare in un barattolo sopra il comodino.
Un cimelio della mia vita breve, già così piena di pensieri diversi, così tanto diversi, così assurdi
Ma sarà la noia?
Sarà la vanità? così debole e opportunamente indifesa
Come un'attrice dopo il trionfo aspetto i miei fiori col trucco sfatto
nel camerino a luce spenta, in attesa della scena.



"Sì è un monologo, ma volevo qualcosa di più trionfale, forse solenne".
"Trionfale?"
"Sì. Questo è deprimente, abbi pazienza". Butta il foglio sul tavolo.
"Ma lei E' depressa, quindi è deprimente".
"Sì ma non è triste.Capisci? la differenza tra triste e deprimente?"
Tra stronzo e coglione? "Ma è vero, è davvero sentito, non sono mai stata così sincera in vita mia. Cioè se io fossi lei direi queste cose"
"Ecco, fa' il piacere, sii qualcun altro".
Ha esagerato e scuote un po' la testa. In fondo mi ha scelto lui per questo lavoro. E ora. Bambina che mi combini?
Provo la diplomazia "sapresti dirmi almeno gli aspetti che non ti piacciono, esattamente? Il tono?"
"C'è troppo compiacimento, troppo oddio guardatemi, la poverina abbandonata"
"Beh, il senso è quello, la tizia è stata abbandonata, però senza oddio guardatemi!"
"No! no, non va bene. Tieni, ti richiamo in settimana. Devo vedere anche gli altri, cerca di lavorarci di più, portatelo a casa".

E' passata una settimana dall'ultima seduta nello studio triste. Non credo ci tornerò anche perché confrontarmi con persone adulte in questo periodo non mi va proprio benissimo. Poi quando le cose vanno male cedo all'iper-interpretazione: "ma quindi ho un conflitto con l'età adulta in generale? Col prendere coscienza che io non sono ancora ad...". Basta.
Ma devo tornarci. Forse lo farò per essere a posto con la coscienza, consapevole di perdere mentre sto perdendo e pagando pure per dirlo.
Non capiscono che se uno si perde non è nemmeno in grado di tenere tutti i fili del proprio discorso?
Devo trovarmi un lavoro serio. Un lavoro che mi rispetti! Che mi rispecchi!
Cosa davvero mi rispecchierebbe? Cosa c'è effettivamente da riflettere?
Cos'è un lavoro serio? Contratto regolare, un certo orario.
Sapere che finito lì, esci e puoi fare altro, puoi permetterti un'uscita in più durante la settimana, la montagna l'inverno, il mare d'estate.
Quindi sei una vacanza pagata e basta?
Le merendine sembrano chiederti solo questo dall'alto del loro scaffale. Fare la spesa una volta ogni due giorni è uccidersi lentamente. Lo stillicidio del prendere due cose a pochi giorni di distanza, la goccia cinese.
"Carta punti?"
"No, non ce l'ho". Neanche la carta punti ho fatto più. L'illusione di avere il tempo per tutto finirà per consumare il tuo tempo effettivo, e mentre pensi a come fare una torta, cerchi la ricetta su internet, clicchi su un link divertente, accedi a facebook, ti scrive un'amica - piripì! (suono della chat): "oddio mi ha scritto lui ti rendi conto??!". Sì, e sono le dieci di sera.

Dopo le dieci arriva la chiamata che mi aspettavo ma che ho continuato ad ignorare come si ignora l'aggiornamento dell'antivirus giorno dopo giorno: con silenziosa afflizione.
"Allora com'è andata? l'hanno preso?".
"No, non gli è piaciuto. Troppo egocentrico, non lo so, non riesco ancora a sentire lo stile dell'autore".
"Boh a me piaceva".
Le piace tutto. "Che fai?"
"Eh, niente, provo a scriverne un altro. Prima mangio però"
"Te pareva"
Rido. "Gelato?"
"Arrivo".



martedì 16 aprile 2013

E' sottile come un capello

Di notte sento rumori strani. Intorno sembra che le pareti si stiano per accartocciare.
Mi viene in mente il terremoto che arriva piano e va crescendo, come avesse il buon gusto di svegliarti gradualmente prima di farti secco.
E' buio ma ci vedo benissimo. Il crepitio della finestra al vento è una vecchia che vuole qualcosa da me, mi sgrida, ma non capisco quello che dice.
Strisciano le scarpe a terra. Ripassano il tragitto del giorno dopo. Le chiamo, ma mi ignorano. Ci rinuncio.
La testa si apre, il cervello si spappola e diventa grande quanto la stanza. La testa, immobile nel letto, è affossata nel cuscino, adesso è una delle tante sinapsi e le cose nella stanza scricchiolano, come scariche elettriche.
Accarezzo il cavo e raggiungo con le dita l'interruttore. Luce.
La luce mi ricompone il cervello.
Mi alzo e bevo un bicchiere d'acqua e intanto controllo che non ci siano crepe sul muro.
Sollevata non ne trovo nemmeno una e mi viene un gran mal di testa. Non riesco a prendere sonno.
Penso che di notte sento rumori strani. Prendo una penna e comincio a scrivere.
Di notte sento rumori strani. Intorno sembra che le pareti si stiano per accartocciare.
Mi viene in mente il terremoto che arriva piano e va crescendo, come avesse il buon gusto di svegliarti gradualmente prima di farti secco.
E' buio ma ci vedo benissimo. Il crepitio della finestra al vento è una vecchia che vuole qualcosa da me, mi sgrida, ma non capisco quello che dice.
Strisciano le scarpe a terra. Ripassano il tragitto del giorno dopo. Le chiamo, ma mi ignorano. Ci rinuncio.
La testa si apre, il cervello si spappola e diventa grande quanto la stanza. La testa, immobile nel letto, è affossata nel cuscino, adesso è una delle tante sinapsi e le cose nella stanza scricchiolano, come scariche elettriche.
Accarezzo il cavo e raggiungo con le dita l'interruttore. Luce.
La luce mi ricompone il cervello.
Mi alzo e bevo un bicchiere d'acqua e intanto controllo che non ci siano crepe sul muro.
Ce n'è una.
Piccola e scura, sottile.
Sembra un capello. Un capello sfalda il cemento?

E' tardi e mi faccio discorsi strani e domande sceme. Dovrei tornare a dormire, domani devo pure fare un sacco di cose, però non è possibile che mi sveglio per questi rumori. Dio, il mal di testa, rieccolo. (Camomilla? Camomilla.) 



 

martedì 9 aprile 2013

L'orologio

Mi porto dietro i bocconi del sogno di stanotte.
Ero in un posto affollato
qualcuno parlava davanti alla folla
io ero contenta.
Al risveglio invece ho il respiro affannato.
Mentre cammino per strada, vedo tutto ma non guardo niente e
mastico ancora quei pensieri.
Si inceppano con le sceneggiature ridicole dei manifesti pubblicitari, quei sorrisi, quella bella pelle, tutto quell'amore da catalogo coop. Mia nonna ci incartava le uova.
Non rimane niente. Sembro un'altra. Sono un'altra, ma sono sempre quella che ha fatto il sogno durante la notte appena passata.
Durante la giornata siamo le ombre vestite dei viaggiatori notturni
quelli che vanno da un'idea all'altra
verso mondi nuovi, nei cosiddetti sogni.
E se fossero veri.
E se il risveglio fosse tornare a dormire.
"Chi avrebbe il coraggio di non svegliarsi?"
"Come scusi?". Due battiti di ciglia e uno sguardo indefinibile sono la sua risposta alla mia domanda.
"No dico. Se in realtà la mattina quando pensiamo di svegliarci in realtà ci stiamo addormentando e stessimo vivendo vivendo un sogno? E se ne fossimo consapevoli e ci piacesse? Lei vorrebbe svegliarsi e tornare a dormire nel senso comune o vorrebbe continuare a vivere, ma a vivere in un sogno bellissimo?"
Dalla strada sale un odore di frittelle. Sono solo le 11 del mattino. Sono mele, mele fritte.
"Pensa spesso a questo sdoppiamento?"
Se penso spesso a questo sdoppiamento. "Il doppio mi ha sempre affascinata, ma non mi definirei una schizofrenica schizzata".
"Schizzata non rientra tra le definizioni...Vede, se lei..."
Schizzata non rientra tra le definizioni. Ecco ora fa un cappello introduttivo su un argomento.
Sembra difficile in realtà credo di aver capito, forse... Oddio ora fa un esempio. Quando una persona poco pratica cerca di fare un esempio, sta costruendo mattone su mattone una parete di incomunicabilità.
Ecco, ha finito l'ultima gettata. No.
Ancora una. L'ultimo mattone.
"Ha presente quando... ". Davanti ai miei occhi sale il muro, lui dietro è lontano lontano, sembra sia sotto, sembra mi parli da dentro una casetta di ovatta. Non voglio farlo uscire da lì. Ma chiudercelo dentro.

Faccio un'espressione di sorpresa improvvisa e inizio ad alzarmi.
"Mi scusi, credo che il nostro tempo stia finendo"
"Ha ragione". Controlla l'orologio. Lo controlla dopo che gliel'ho detto, quindi si fida. E' proprio cretino, e con un orologio. Un costoso orologio che sicuramente pesa e molto probabilmente gli tira i peli del polso. Non so perché la gente con le braccia pelose si ostini a portare orologi di questo tipo. Ora quel coso scintilla e mi guarda. Ruota il polso per mostrarlo meglio, ma non vuole farlo in maniera troppo evidente, me ne accorgo solo ora.  
Ciao, sono probabilmente costoso ma privo di ogni eleganza e mi piace guardare la faccia disgustata che hai adesso.
"Le piace?"
Oh, ecco qua.
"Eh?"
"No è che guardava l'orologio"
"Ah, sì...bello (graziosa e decisa, graziosa e decisa). Arrivederci allora.". La mia mano è salda sulla tracolla di pelle morbida. Questa borsa è stato un ottimo acquisto.
"Arrivederci".

Lo studio di questo tizio è triste. Lui è triste, come i suoi calzini e le mani della moglie che glieli ha appaiati stamattina, dopo averli ritirati asciutti dallo stendino aperto nel salone di casa. Quelle mani sono mani sicuramente tristi.
Tutto era già intuibile dalla sala d'attesa, il luogo che, insieme al bagno, rivela l'essenza di un luogo pubblico, perché rivela il vero livello della cura per la persona, di quanto ti considerano una persona.
Questo studio è triste. Colorato e triste perché manca di ogni traccia di un buon gusto di base che ho sempre pensato fosse in dotazione insieme al dna. Quando veniamo alla luce abbiamo una specie di marsupio con dentro un pacchetto contenente dna appunto, neuroni, buon senso, capacità di seguire un discorso per 2 minuti, saper trattenere un rutto e sapere come ci si soffia il naso senza allarmare la protezione civile (poi col tempo, va da sé che mi sono ricreduta - come penso tutti - su un sacco di queste cose, ma questo è davvero un altro file).
Le sedie e il tavolo di questo posto, il vaso di fiori, perfino le tende, rientrano in quello sforzo di coloro che non hanno gusto nel voler dimostrare agli altri - e a gran voce! - che lo hanno. E comprano cose brutte o stupide che tradiscono questo disperato tentativo di passare per amanti del design, di ogni linea pulita e perfetta, delle forme misteriose - quindi colte - o di quelle accoglienti - quindi accomodanti - mentre in realtà, si palesano gli squilibri del famoso pacchetto in dotazione. Qui qualcuno ti ha fottuto il marsupio, l'ho capito dal tuo bagno. 
Un lavandino di cui non si intuisce l'apertura del rubinetto per lavarsi le mani, mi fa solo capire che così non andremo da nessuna parte. Da nessuna altra parte se non all'inferno (e con le mani sporche).

L'ultima cosa di cui avevo bisogno era un orologio parlante indossato da una scimmia laureata. Con indosso una cravatta di cattivo gusto.
 



venerdì 15 febbraio 2013

Constatazioni un cazzo amichevoli

Ho individuato con precisione la fine della fase "bolognese" della mia vita nel momento in cui mi sono accorta di annoiare mia madre per telefono.

Lei: "Allora come va? com'è andata la giornata?"
Io: "Ciao mà, normale."
L: "Normale... cioè...ah, certo. Beh, ora lavori. E beh, certo."
I: "Mh...sì".

Due distinti secondi di vuoto.

E' donna tenace (mia madre):  "E..che hai fatto?"
Sono figlia indolente (io): "Le solite cose, più o meno"
L: "Mh...Visto l'asteroide in Russia?"

                            Eh?

domenica 10 febbraio 2013

Prendi le mele.

Cecilia mangia colli di maglioni e finalmente ha imparato a vivere con le altre persone.
L'altra sera ha visto un cielo di febbraio confuso, pensò che si stesse sbagliando ad essere così sereno e luminoso (ma in fondo è solo un cielo, cosa potrebbe mai capire. Un cielo ha il compito di essere bello o brutto e a riflettere le cose, senza farlo sopra di esse).
Cecilia sogna l'amore di Saramago, perché i suoi libri non li scriverà mai.
Il termine sprawl è bellissimo e a questo penserà d'ora in avanti: a stendersi, ad espandersi, a comprendere tutto - che non è "capire" ma "prendere-con" - ad abbracciare le cose senza sintetizzarle, a prenderle intere, come se tutto ciò che fosse utile adesso fosse scegliere le mele migliori.

#Arcade fire - Sprawl II (Mountains beyond mountains)


martedì 22 gennaio 2013

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

 
Quindi ricapitolando: la Vezzali si candida; Silvio si dispiace perché deluderà molti amici e intanto il Tribunale di Milano rimanda il processo; Mastella ripropone l'Udeur come la cena del cinese (che poi che fai, non ce torni? mabbè!); Pannella apre a Storace che apre al Ventennio che apre a Casapound che apre a Grillo ... o è Grillo che gli ha aperto?? (ma poi che cazzo: chiudete la porta!). Insomma poi abbiamo D'Alema e Veltroni scongelati per l'occasione; l'inno della Gente del Pdl, l'inno di Gianna per il Pd - partito che si affanna ANCORA per trovare nuovi modi per umiliarsi (state a vince) - Corona è un fuggitivo che mette in difficoltà l'Interpol. 
Non troverei assurdo a sto punto, se i Radicali aprissero un wormhole.

mercoledì 16 gennaio 2013

Del procrastinare, ovvero: del brutto verbo violento e croccante, e di ciò che mi significa

Piccoli eroi del fallimento quotidiano
Mangi per noia, godrai domani
Rimandi tutto
"rimanda tutto!"
rimandi pure te stesso a data da destinarsi
Piccole rese: le tue giornate ne contano infinite
Intralci te stesso, ti metti in pausa
Ogni passo che fai è un calcio a un pensiero spontaneo e bello e complesso (ovviamente: pericoloso)
e quel pensiero lo ricacci indietro, lo scacci come l'incubo da cui vuoi evadere in fretta
Non sei energia che si irradia, tu implodi
implodi nei modi bruschi con cui concludi i ragionamenti sulle cose, sulle persone, sulle tue scelte
Promettendo lo scavo che non vuoi neanche pensare di intraprendere
Perché essere se stessi richiede un impegno che non è mai risarcito
Perché questo non è il tuo tempo
Ci sei solo capitato in mezzo 
Sì, era l'intervallo
Ora sei a una prova generale a cui mancherà la prima che avresti voluto,
avessi avuto un carattere migliore.
Le giustificazioni affiorano preconfezionate,
aprono le dighe a una calma distensiva e immediata, apparente
Sono oppiacei.
Perché un'amnistia così vergognosa e debole?
"Domani lo faccio! Domani, lo giuro... vivo!"
Te pare.

mercoledì 9 gennaio 2013

E lasciami sfogare

Nei secoli l'uomo si è evoluto tantissimo, in particolare nel periodo A.J. (Avanti Jobs), quando tutto andava per il meglio e prometteva solo di diventare più figo.
L'uomo dapprima strisciava, poi gattonava e andava sugli alberi, poi s'è messo a correre usando le mani, infine si è alzato sulle sue gambe, ha scoperto il fuoco e le pitartole, ha inventato la ruota e lo skate, le piramidi, il tanga e il pensiero critico, l'università e la carta igienica, ha dipinto la Gioconda, ha messo su Roma, ha inventato la lavatrice, le presine di gomma, il cellulare, le barrette dietetiche, la coperta termica e il bancomat, la cera depilatoria a rullo, lo step e il pilates, il dubstep e il pushup, e poi è andato sulla Luna, allo Sziget e a Tarquinia la domenica. Così, come se niente fosse. 
Tutto andava per il meglio quando ha pensato che tutto questo sarebbe stato più divertente ascoltando buona musica.



                 Da un'ora non riesco ad aggiungere una cartella su iTunes.