martedì 14 maggio 2013

La danza

"Ehi". Non mi riesce mai. Alla fine la voce mi abbandona dopo un verso sordo e mozzo.
Continuo a stare in piedi e aspetto. Non voglio appoggiarmi da nessuna parte. Il mio interlocutore è ancora soltanto una schiena.
Devo rimediare al volo. Ci riesco con un tono medio e sereno nella frase successiva:
"Come stai?".
Un fracasso improvviso di plastica e metallo mi risponde prima di lui.
"Il solito". 
Ultimamente armeggia con vecchi computer. Dice di sistemarli per gli amici. Nel senso che li sistema nel suo garage. Si tira su e mi viene incontro. I nostri occhi si incontrano sbrigativi. Mi sposta i capelli.
"Scusa, c'avevi una cosa".
"Ah. Grazie". Dopo la battaglia, lo sconfitto ha già la sua rivincita. Le sue ferite non ci ricordano il perché le avesse meritate. Improvvisamente rendono solo più urgente una cura.

Mi accorgo che non ricordo se indosso le scarpe. Mi guardo i piedi.
Forse queste mie pause sono opprimenti, forse dovrei dire qualcosa. Me lo dicono le sue spalle insieme agli occhi avviliti, che adesso pianta nei miei. Inizia a fare un movimento con la mano nell'aria. E' un po' rosso in volto; il segnale ufficiale delle sue scuse.
"Senti, per ieri...". Inizia il suo discorso e nel frattempo continua a raccogliere aria col palmo della mano davanti a me. Movimenti leggeri e cauti. Poi distende il braccio lungo il corpo. Riprende la parte più difficile del gioco retorico e di nuovo raccoglie delle grosse nuvole e me le porge. 
Rimango seria ancora un po' anche se so già dove andrà a parare. Attendo che si concluda l'atto, che si prosciughino le nuvole e che torni l'azzurro perché alla fine torna sempre. (Ecco, è il momento).
Inizio a sorridere. Me lo sento arrivare dalla gola: è l'incapacità di andare oltre. L'emozione torna su, ancora e ancora una volta. Sorrido talmente tanto che credono lo stiano facendo anche gli occhi perché li sento più grandi e senza controllo. Ho perso definitivamente, ma questo me lo dirò da sola più avanti. Ora è troppo tardi, dobbiamo abbracciarci, è d'obbligo.
"Scusa" mi dice.
All'alba i due eserciti raccolgono i propri cadaveri. Qualcuno guarda il cielo perché il sole tramonterà ancora.
Lui ora riassume tutta la faccenda e sembra tutto stranamente, assurdamente chiaro.
Il fatto che riesca a tenere tutto in ordine nella sua testa, mi è sempre piaciuto.
Cazzo è intelligente. Che ci fa con me? Si è interrotto. Oddio avrà appena detto una cosa che avrei dovuto ascoltare e l'ho persa. Oddio lo ha capito, mi sta parlando: "Ma che fai?".
Mi accorgo che mi sta guardando le mani. Lo faccio anch'io e capisco, sollevata, il motivo.
"Mi sono lavata le mani e mi è rimasto del sapone incastrato".
Mi prende la mano e se la porta al naso. Non per vedere che il mio anello è impiastricciato, ma per sentire il profumo. 
"Mughetto?"
"Sì. Ti piace?"
"Parecchio".


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