mercoledì 19 giugno 2013

LA RAGAZZA DAI CAPELLI STRANI - Impressioni su David Foster Wallace

Qualche giorno fa, stavo per scrivere questo post prima ancora di finire il libro, a un racconto esatto dalla fine.
Non avevo mai pensato che avrei potuto scrivere di un libro mentre ancora lo sto leggendo.
Mi è accaduta la stessa cosa che succede quando conosciamo qualcuno: inevitabilmente, dopo i primi minuti di conversazione, abbiamo stabilito se la prossima volta cercheremo di evitare qualsiasi contatto con quella persona o se forzeremo delicatamente un incontro.
In poche parole avevo colto e assimilato il senso del libro, o meglio il senso di questo libro per me, e non vedevo l'ora di ordinare le impressioni in un paragrafo coerente, di tradurle in fretta per dirle finalmente a qualcuno. Però non mi sembrava giusto, così ho atteso l'ultima pagina e quelle che seguono sono le mie impressioni su tutto il libro e chi l'ha scritto.

L'autore in questione è David Foster Wallace, autore che si inserisce in quella lunga e straordinaria tradizione di autori di grande successo che non erano tali quando erano ancora in vita. Il nome di Wallace infatti non era emerso, almeno non così tanto in Italia, mentre era ancora in vita (per chi non lo conoscesse o lo conoscesse poco, questo articolo può farvi da bussola per recuperare).
Quando lessi per la prima volta di lui - purtroppo soltanto due anni fa - ho pensato che dovevo assolutamente leggerlo, poi gli studi e la tesi hanno imposto altre letture. Soprattutto leggendo i commenti sulla sua scrittura sparsi nella rete, avevo capito che la sua lettura sarebbe stata impegnativa da approcciare. Avevo bisogno di un momento diverso ma già guardavo i suoi titoli ogni volta che entravo in una libreria.
La ragazza dai capelli strani: ho iniziato da questo libro ed è stato un caso perché mi è stato regalato (parlo dell'edizione di Minimum Fax, 2011 con la traduzione di Martina Testa).
In tutto nove racconti, nove ispezioni dell'animo umano, collocate in precisi momenti storici.
Un verbale accurato delle nostre incapacità decisionali, delle nostre paure e inceppature emotive, restituite con uno stile inedito, che riporta voci multiple e presenta numerosi eventi anche in poche righe. Lo stile di Wallace ha una linearità di esposizione e una completezza rare, credo estremamente difficili da realizzare. Detto banalmente - proprio perché l'effetto che ne deriva è quello di un'immediatezza e lucidità difficili per me da descrivere - "l'autore dice tutto" con il raro pregio di non risultare claustrofobico, né accumulativo.
Racconto dopo racconto, sbalzato da un'epoca all'altra, il lettore entra nelle dinamiche personali di uomini, donne, giovani e meno giovani che affrontano momenti-chiave della propria esistenza. Momenti che non solo li cambiano, determinando le loro azioni future, ma sono l'occasione per misurare la propria personalità nel confronto con quella degli altri. Un confronto che spesso li distrugge perché gli restituisce la propria vera faccia, o quella altrui, con tutte le crepe del caso.
Wallace non giudica nessuno, non dà colpe, non costruisce un cattivo, non è meschino; si inserisce sotto una soglia, e posizionato al di sotto di essa, guarda fuori. C'è comprensione profonda, ma non immedesimazione totale. Si rimane al di qua di quella finestra: siamo da quella parte, ma non così dentro; siamo abbastanza vicini da vedere tutti gli sforzi del personaggio per cercare di essere ciò che vorrebbe essere, ma non tanto da permetterci una fusione totale con esso.
Un altro aspetto che colpisce della sua scrittura è la vocazione clinica nel voler indagare l'emozione umana, restituendola attraverso accostamenti inediti.
L'autore crea spesso delle immagini potenti:


  Una delle macchine si ferma sul bordo dell'autostrada. Una giovane donna 
  con il viso floscio fa scendere dalla macchina due bambini (p. 7).

L'essere umano dei racconti di Wallace sembra un cartone animato, un pupazzo mai abbastanza adatto per qualsiasi gioco: nel tentare di realizzare la sua vocazione sociale fallisce in una serie di movimenti sconnessi, in gesti goffi e tic nervosi, rivelando tutta la sua ignoranza relazionale, che tuttavia non è ignoranza emotiva. C'è la consapevolezza di una perdita, di un certo dolore, ma identificarlo e nominarlo spesso è impossibile.

Qualche giorno fa leggo del "caso Green": la vedova dello scrittore - Karen Green - è l'autrice di Bough Down, libro nel quale affronta la drammatica perdita del marito aprendosi per la prima volta al pubblico. La lettura di un autore morto prematuramente e in circostanze tragiche (il 12 settembre 2008 Wallace si tolse la vita impiccandosi nella sua stessa casa e a trovarlo fu proprio sua moglie), trasferisce immediatamente tutto ciò che ha scritto in una cornice di interpretazione particolare, quella di una serie di interrogativi che il lettore più o meno esplicitamente inizia a porsi, mentre si appassiona al testo: non fosse stato così gravemente depresso, avrebbe scritto quello che ha scritto? il suo stato mentale ha influito il suo modo di scrivere? Come separo l'autore dall'uomo?
Domande sotterranee e spontanee che nella critica letteraria ciascuno, di volta in volta, ha giudicato legittime o meno e che non portano mai davvero a risposte univoche e definitive, ma sono di per sé la testimonianza di quel fascino misto a soggezione che si prova nei confronti di un autore di talento, soprattutto per chi, come me, aspira ad un'idea di puntualità dello scrivere che si avvicina molto alla sua.
La grandezza della scrittura di Wallace (e quindi la grandezza della sua sensibilità) è quella di realizzare dei cortocircuiti perfetti: non descrive la sensazione umana che deriva da qualcosa che accade, ma esattamente ciò che accade nell'intimo.
Proprio come un sismografo estremamente sensibile, l'autore è riuscito a registrare un movimento interiore e la preziosità di questa scrittura sta nel suo potere di rivelazione di quel tipo di movimento, di quel piccolo sisma che ognuno di noi prova nel corso della propria vita, in diverse circostanze:

 Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che 
 non si riesce a chiudere, nel guardarla (p. 300).  


   Buona lettura.

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