giovedì 27 giugno 2013

Metrovaneggiamenti

Quando entro in metro mi aggrappo ai pali metallici come una scimmia stanca.
La sera il vagone è un utero caldo e sudato che accoglie e sposta tutti.
Pachistani cogl'ombrelli, commesse di Zara, africani coi libri sull'Africa. Stasera ci accompagniamo tutti a casa. Lasciamo incontrollato uno sbadiglio mentre con le mani distendiamo la fronte accartocciata dalla stanchezza. Le braccia sono funi attaccate al centro di un soffitto. Le molliamo lungo il corpo come sassi in un pozzo: aspettiamo di sentire il tonfo (vero scopo del lancio).
Non si vuole mai dire qualcosa, ci limitiamo a guardare senza darlo a vedere, riconoscendo che tutto è ancora quello di otto ore fa.
Cerco un luogo neutrale dove puntare gli occhi, fingendo disinteresse per tutti gli altri, mentre ripasso le tracce dell'ipod. Non c'è nulla che possa evitare questo viaggio in compagnia tra finti distratti.
La metropolitana azzera tutto e tutti: è l'unico momento in cui perfetti sconosciuti sono bloccati per un frangente della propria giornata in un luogo preciso e limitato.
Siamo vincolati da un tempo, dall'attesa di minuti precisi, gli unici riconoscibili della nostra giornata. Andiamo a rallentatore verso il convoglio che sta frenando, saliamo, ci sediamo nel salotto e aspettiamo. Nell'attesa misuriamo l'intelligenza degli altri a seconda di come ognuno prende la propria postazione e di come la mantiene. In questa strana riunione tra sconosciuti anonimi, ci pesiamo in spazi tolti e gomiti affondati nei fianchi.
Ma questo correre di passi certi, di piedi svelti e di partenze obbligate è anche la certezza di un ritorno consolatorio, di un'accoglienza promessa, di una salvezza.
Perché partire è partire, ma partire è anche tornare.

1 commento:

  1. come sarebbe bello se... "buona sera signori, com'è andata la giornata? bene? noie a lavoro? via via...non mi dica niente, ché lo so, vi si vede dagli occhi, siete stanchi come me...regaliamoci un sorriso, prima di tornare a casa..."

    =)

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